Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Le armi: quattro cinture di accappatoi
Omicidio-suicidio di Asiago: la figlia ha soffocato i genitori e poi è strozzata
ASIAGO Due cinture di accappatoio usate come arma del delitto per riempire la bocca ai suoi anziani genitori già a letto, fino a lasciarli del tutto senza respiro, poi altre due per cingere il suo collo a modo di cravatta e tirare i lembi fino a morire per asfissia.
Sono le armi dell’omicidiosuicidio di Asiago: la figlia Silvia Marzaro ha ucciso i genitori Italo, 83 anni e Ubaldina Volpato, 85 e poi si è tolta la vita, lasciando e straccian un biglietto.
ASIAGO Due cinture di accappatoio usate come arma del delitto per riempire la bocca ai suoi anziani genitori già a letto, fino a lasciarli del tutto senza respiro, poi altre due per cingere il suo collo a modo di cravatta e tirare i lembi fino a morire per asfissia.
I primi esiti delle autopsie compiuti mercoledì fino a tarda sera dal medico legale Alessandra De Salvia hanno aiutato a fugare molti dubbi su quanto avvenuto tra domenica sera e notte all’interno di un appartamento preso in affitto da otto mesi in contrada Pennar ad Asiago dalla famiglia di Mirano e trovata sterminata. I coniugi Italo Marzaro e Ubaldina Volpato, 85 e 83 anni, e la loro unica figlia Silvia, 43.
Dubbi che non sono più tali anche sui due legacci in cotone trovati intrisi di sangue all’interno di un sacchetto dentro il cestino del bagno, riposti lì dalla figlia, che si preoccuperà di ricomporre i corpi. Rimane da stabilire invece l’esatta sequenza cronologica, individuare l’orario del decesso dei tre, pare avvenuto a distanza di poco uno dall’altro, e ancora capire chi sia morto per primo dei due genitori, e se questi fossero stati drogati con veleno, storditi farmaci, psicofarmaci, quelli che il padre assumeva, così come la figlia. Tutti quesiti a cui daranno una risposta gli esami tossicologici. Il pm Hans Roderich Blattner ha già delegato accertamenti anche sui cellulari dei tre e sui tabulati telefonici, se mai gli ultimi messaggi o chiamate possano dare ulteriore senso a quanto avvenuto.
Per ora quello che gli investigatori ipotizzano è che la 43enne abbia drogato i suoi anziani genitori, che avrebbero anche potuto essere consenzienti, e una volta messi a letto, li avrebbe soffocati infilando loro in bocca delle cinture dell’accappatoio. Sistemando e premendo in modo forte e deciso i legacci di cotone fin nella gola degli ultraottantenni incapaci di reagire, fino a non farli più respirare, forse aiutata anche da un cuscino premuto sul viso. La coppia era sistemata come se il letto fosse la loro bara. La figlia, ordinatissima com’era, si è preoccupata di non lasciare nulla fuori posto, nemmeno i legacci intrisi di sangue e morte, riposti nel cestino. Solo allora si è uccisa, strozzandosi con altre due cinture in cotone, fino a cadere a terra dove è stata trovata dopo l’allarme lanciato dal compagno, il fotografo Luigi Giacomin, 63enne di Mirano arrivato fino ad Asiago per il persistente silenzio.
La donna quindi non è deceduta per la botta in testa contro lo stipite, quella che giustificava la vistosa chiazza di sangue dietro la sua testa. Silvia Marzaro aveva già tentato di uccidersi in agosto, sempre ad Asiago, quando aveva assunto dosi massicce di psicofarmaci.
Questa volta ha trascinato con sè i genitori di cui sapeva bene di essere indispensabile dal punto di vista assistenziale e quell’accudirli forse col tempo era diventata una condanna, un vincolo da cui non riusciva a liberarsi.
E chissà se, nella sua testa, quel dare loro la morte era solo un ultimo atto di pietà. Pietà che ha usato anche quando ha giunto le mani a mamma Ubaldina, rimboccando
Farmaci o veleno
Gli esami tossicologici servono a capire come sono stati tramortiti
a lei e al padre le coperte in modo impeccabile. Solo allora, sistemato tutto in perfetto ordine, com’era la casa, ha pensato ad annientare se stessa. Disfacendosi del biglietto scritto in stampatello contro i suoi: «Maledetti, la pagherete. Dio vi giudicherà»: lo hanno trovato a brandelli nel cestino della cucina. Quel «maledetti» a chiare lettere lasciato anche sulla prima pagina di un block notes in camera. La chiave di un mistero che pare non essere più tale.