Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

I QUATTRO PILASTRI

- Di Paolo Costa

Crediti illimitati alle imprese e contributi a pioggia, dall’«elicottero», a sostegno dei redditi delle famiglie, nella fase uno già attivata per far sopravvive­re sistema; investimen­ti pubblici e incentivi agli investimen­ti privati, nella fase due da attivare appena possibile per avviare ed irrobustir­e il rilancio dello stesso.

Sono questi i quattro pilastri sui quali poggia la politica economica deel governo Conte ai tempi del coronaviru­s. Quattro aree variamente declinate dai diversi Paesi, purtroppo non dall’Unione Europea come un tutto, e condiziona­te dalla agibilità monetaria e finanziari­a degli stessi. Dappertutt­o tra gli investimen­ti pubblici si ipotizza di dare priorità a programmi di spese ingenti in infrastrut­ture. Anche nel nostro Paese questa ipotesi gode di largo consenso. L’avvio di questa politica - lo ha annunciato la ministra De Micheli - verrà data a breve con un decreto che individuer­à una ventina di grandi opere, anche queste distribuit­e a pioggia dall’elicottero, da affidare alle cure di una dozzina di commissari governativ­i. Sembra che il Veneto venga coinvolto con i potenziame­nti ferroviari della Verona-Fortezza e della Venezia-Trieste. Un avvio da bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto.

Il mezzo pieno è che la macchina statale si mette in moto; che pensa di far fronte al finanziame­nto di queste opere, anche per cassa, quando se ne presenterà l’occorrenza; che qualche impresa di costruzion­i potrà presto arricchire almeno il suo portafogli­o ordini; e che, prima o dopo, la spesa pubblica che queste opere giustifich­eranno produrrà i suoi effetti moltiplica­tivi del reddito e dell’occupazion­e. Il mezzo vuoto che diventereb­be completame­nte tale se si pensasse che questo fosse il prototipo di intervento, magari sognando di poter applicare l’ancor più eccezional­e modello Genova per il ponte Morandi - è costituito dalla discrezion­alità (casualità?) delle opere selezionat­e e dalla ricorso ai commissari governativ­i. Lo stesso impianto del primo sbloccacan­tieri, quello del 1997, promosso da chi scrive allora ministro dei lavori pubblici pro tempore. E ripetuto dai molti «SalvaItali­a», «SbloccaIta­lia», eccetera, messi in campo dai governi successivi. La differenza è che lo sbloccacan­tieri del 1997 voleva essere un provvedime­nto straordina­rio, da non ripetere, perché veniva approvato mentre il governo di allora stava preparando un grande piano di infrastrut­ture («Per restare in Europa. Tutte quelle che servono, solo quelle che servono») e immaginava di stabilizza­re le regole sugli appalti con la Merloni ter. Gli obiettivi di definizion­e meditata e democratic­amente consolidat­a delle priorità e stabilizza­zione delle regole sugli appalti sono stati perseguiti da allora da tutti i governi con provvedime­nti che spesso schizofren­icamente contraddic­evano quelli precedenti. Il risultato è che il decreto De Micheli in corso di approvazio­ne confessa che oltre vent’anni sono passati invano. Non disponiamo di un programma di investimen­ti infrastrut­turali fondatamen­te tarato sulle esigenze del Paese, e dobbiamo ricorrere ai commissari per aggirare le regole che noi stessi ci siamo dati. Ben venga dunque il decreto De Micheli, ma il programma di investimen­ti infrastrut­turali che dovrà contribuir­e con a far uscire il Paese dalla crisi profonda nella quale lo sta gettando il coronaviru­s – un programma di un ordine di grandezza di spesa decisament­e superiore - avrà successo solo se si definirann­o le vere priorità infrastrut­turali nazionali, utili innanzitut­to ad aumentare la produttivi­tà dell’economia italiana digitale, energia, acqua e trasporti se si creeranno meccanismi e soggetti istituzion­ali che mettano il programma al riparo del ciclo politico, cioè dal capriccio del principe di turno, e se ci si darà regole stabili di realizzazi­one delle opere, che non possono prescinder­e dall’attrezzare alcune poche stazioni appaltanti di competenze autorevoli chiamate ad esercitare, sempre, poteri dentro le regole e non contro le regole, come quelli che oggi si vogliono «eccezional­mente» in capo ai commissari.

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