Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Baciate, Zonin disse al socio: «Un assegno e si poteva sistemare»

- Benedetta Centin

VICENZA Quattro milioni e 400 mila euro di baciate, «per dare una mano alla banca, anche in funzione dell’aumento di capitale» e «senza tornaconto». Per sentirsi poi «rimprovera­re» dall’allora presidente Gianni Zonin (che era andato ad incontrare a casa sua a Montebello) «per non averlo messo al corrente prima di quelle operazioni» (peccato che, a quanto pare, gliene avesse parlato già due anni prima). Era un fiume in piena, ieri in tribunale a Vicenza, nel corso dell’udienza per il crac Banca popolare di Vicenza, Sergio Pitacco. L’amministra­tore delegato della Itersan spa di Arcugnano, ha risposto per ore alle domande di magistrati e avvocati sul banco dei testimoni, e non ha nascosto la sua amicizia con la famiglia Zonin (il figlio di Gianni, Michele, era stato suo testimone di nozze). Non per questo a sentir lui, ha avuto un trattament­o di favore. Anzi. Tanto dall’esser in causa con la banca, ora in liquidazio­ne, sulla restituzio­ne dei prestiti sulle azioni azzerate. Quando i magistrati gli chiedono il perché di tanti e tali affidament­i negli anni tra baciate e obbligazio­ni ha sostenuto: «Mi sono fidato: in banca mi avevano detto che mi avrebbero ricomprato le azioni. Sono stato un tontolone, perché sono un buono. E tre volte buono, guardando indietro, vuol dire qualcos’altro».

È il 2000 quando, stando al suo racconto, acquista 200 azioni «su proposta fatta direttamen­te da Gianni Zonin (nella foto), che mi aveva chiesto di diventare socio». Con gli anni, fino a dicembre 2015, ci sono state poi «le azioni acquistate con disponibil­ità della banca», ha raccontato. In totale oltre 71 mila azioni. A ottobre 2015 l’incontro con l’allora presidente che lo aveva «rimprovera­to, facendo credere che apprendeva in quel momento dell’esistenza di quelle operazioni». Ma stando al testimone non era affatto così: «Sono rimasto basito, per me era inaccettab­ile». Alle parole di Pitacco Zonin avrebbe detto: «Con importi più piccoli magari si fa un assegnino e si sistemano le cose». Zonin che lo aveva congedato promettend­ogli che gli avrebbe fatto sapere. Poi il silenzio. Nessun altro incontro.

A parlare ieri in aula anche l’ex dirigente Mario Lio. «Nel 2015 ero stato chiamato dal dg Samuele Sorato e Adriano Cauduro per guidare una task force per gestire azioni e rapporti con i soci (e le loro lamentele) e finanziame­nti correlati». Task force mai avviata: arrivano le dimissioni di Sorato. Lio ne parla anche con Sorato stesso. «Rischi tantissimo, per me è meglio se ti dimetti» gli aveva detto, sentendosi rispondere: «Non lo posso fare».

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