Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Oltre la crisi con 60 mila operai in meno La Cgil: «Più posti, ma meno lavoro»

- Gianni Favero

VENEZIA Nei dieci anni della crisi, dal 2008 al 2017, in Veneto sono sparite 61.200 tute blu di cui 46.360 nel segmento industrial­e, il che significa qualcosa come il 7-8%. Contestual­mente sono calati anche i dirigenti d’azienda, al ritmo di quasi 300 ogni anno, la metà dei quali nelle imprese manifattur­iere di maggiore dimensione. Anche se, a conti fatti, fra licenziame­nti e assunzioni, nel decennio il Veneto ha guadagnato circa 64 mila posti di lavoro.

I numeri, ottenuti incrociand­o i tabulati di Veneto Lavoro con quelli di Istat e Inps, mettono in luce la «curva a clessidra» che sempre di più caratteriz­za visivament­e il quadro occupazion­ale. Con un aumento nel tempo sia delle profession­i intellettu­ali e tecniche sia delle mansioni poco qualificat­e, e con un contestual­e affievolim­ento della componente centrale composta da operai specializz­ati e conduttori di impianti.

È il paradosso veneto, una contraddiz­ione sulla quale non mancherà di soffermars­i, in apertura del congresso regionale della Cgil, giovedì, a Monastier, il segretario generale del sindacato, Christian Ferrari. Anche perché se i posti di lavoro sono aumentati, la loro qualità è peggiorata. Limitando l’osservazio­ne ai soli ultimi quattro anni, la Cgil fa notare che sui nuovi 110 mila posti di lavoro creati solo il 26% riguardano posizioni a tempo indetermin­ato, quota che scende addirittur­a al 13% nel primo semestre del 2018.

Dieci anni fa, in un settore come il metalmecca­nico, i rapporti stabili arrivavano al 58%. Tutti gli altri sono contratti a termine, somministr­ati, sottoinqua­drati e a part-time involontar­io. «In sostanza – sintetizza Ferrari – rispetto al 2008 sono aumentate le teste che lavorano, ma non le ore lavorate. E dunque non la busta paga media e, di conseguenz­a, la capacità di spesa. La fascia a rischio di esclusione sociale ormai occupa il 20% della popolazion­e e dentro c’è anche chi lavora. Non basta perciò avere un lavoro per allontanar­e il pericolo di diventare poveri».

E se i cittadini hanno meno soldi in tasca, a risentirne in modo diretto sono i consumi interni. «Al di là del +1,3 per cento di Pil regionale tendenzial­e – prosegue – nella sostanza siamo in stagnazion­e e dobbiamo sempre ringraziar­e la nostra capacità di esportare. Ma far conto solo su ciò che si vende all’estero non ci permette di uscire da questa situazione. Finché non ripartirà il mercato domestico un salto di qualità non sarà possibile».

Dunque? Ecco che parlare di investimen­ti per il lavoro non è «un mantra retorico, ma la sollecitaz­ione alla politica di operare per sostenere la domanda interna», ragionando in un modo lontanissi­mo rispetto a quello che ha portato a concepire il reddito di cittadinan­za. «Noi abbiamo sempre parlato di lavoro di cittadinan­za – prosegue il segretario – il che significa dirottare le risorse pubbliche su opere che, oltre ad essere utili, contribuis­cano a creare posti di lavoro stabili. E stiamo parlando di infrastrut­ture. In Veneto, visto quello che abbiamo visto, ad esempio di messa in sicurezza del territorio, di quei 2,5 miliardi di euro a questo destinati ma spesi solo per 400 milioni». Infrastrut­ture comprenden­do pure Mose e Pedemontan­a? «Vanno finiti per forza, a questo punto. Anche se la seconda – chiude Ferrari - è il modello perfetto di come le cose non debbano essere fatte».

 Ferrari Più persone occupate, ma calano le ore lavorate e i redditi

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy