Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Il testamento di Trevisan
Ripubblicato «Works» (Einaudi), romanzo dello scrittore vicentino Autobiografia di una generazione fra disillusioni, disperazione e ironia
Nella mia vita, ho regalato Works a decine di persone. In maggioranza sono maschi, e del Nordest, perché è il dono perfetto per questa categoria. Alcuni sono dei buoni lettori, ma per più di qualcuno Works è uno dei pochi libri letti in un anno. Si tratta indifferentemente di camerieri e imprenditori, professori o ingegneri. Se due persone hanno letto lo stesso libro, si crea un legame. Nel caso di Works però, direi che è qualcosa di più: quel libro diventa una specie di comunità, di illuminazione, di Fight Club.
Pubblicato nel 2016, Works è il capolavoro di Vitaliano Trevisan, lo scrittore di Sandrigo nato nel 1960 (autore anche de I quindicimila passi e Il ponte entrambi editi da Einaudi) che si è tolto la vita lo scorso 7 gennaio. Proprio oggi Works esce in una nuova edizione ampliata (Einaudi Stile Libero Big, pagg. 700, Euro 22), impreziosita da un capitolo in più, Dove tutto ebbe inizio, aggiunto per volontà dell’autore.
Non invecchia, Works, né invecchierà, perché ha raccontato in modo definitivo il nostro mondo, il Veneto, la sua cultura. È un’autobiografia, o meglio un memoir, come l’autore stesso l’ha definito, che racconta le decine di lavori che ha fatto Vitaliano Trevisan prima di approdare definitivamente alla scrittura, dal lattoniere al cameriere, dal gelataio allo spacciatore, dalla sagomatura delle gabbie per uccelli allo scarico di bilici per detersivi, fino a un lavoro di portiere d’albergo lasciato perché un ingaggio per il cinema gli valeva tre anni di stipendio.
È un libro che racconta la vita di Trevisan, un matrimonio fallito, la famiglia, il papà poliziotto, l’impeccabile nonno Arturo, l’educazione, quella vocazione a scrivere che gli impone di preferire, alla fine, il lavoro manuale a quello intellettuale, perché non gli toglie energie per la letteratura. È un libro che viaggia dentro le zone industriali, tutte diverse tra loro, le piazze vuote dei paesi, le aspre sommità del vicentino, la Germania, i bambini condannati a usare le biciclette da femmina delle sorelle, le osterie per gli operai (in cui è fondamentale la scelta della giusta cameriera). È un libro che indaga sul senso del lavoro, della fatica, e quindi della vita, ma che lo declina in particolare qui, perché i veneti secondo Trevisan fanno ancora i lavori che gli italiani non vogliono più fare. Certo, c’è qualcosa che cambia, nel tempo; l’eroina, per esempio, che oggi è diversa rispetto agli anni Settanta. E anche il lavoro è cambiato; il libro finisce il suo racconto il 31 agosto 2002, quando Trevisan diventa scrittore e basta, cioè vent’anni fa, prima della crisi del 2008, delle pandemie, del digitale, quando il lavoro non mancava certo (ammesso che oggi manchi). Ma c’è soprattutto qualcosa che resta; l’attitudine e la maledizione al sacrificio, l’idolatria dei soldi e degli status symbol, la finta democrazia delle fabbriche dove il padrone dà del tu all’operaio, il senso di desolazione, di alienazione, quel mondo diviso tra un nugolo di ridicoli esaltati e una moltitudine di arrabbiati. Eppure, la grandezza di Works è che è lontano tanto dall’afflato di Martin Eden quanto dal grottesco fantozziano; senza speranza o redenzione, Works racconta profondamente delle relazioni umane, gerarchiche e non, ma sempre con una infallibile ironia scanzonata che era il più grande pregio di Vitaliano Trevisan e che si rinviene, io credo, sin da quel titolo volontariamente in inglese, da rockstar di provincia.
La scrittura di Trevisan si trova anche in Dove tutto ebbe inizio, il capitolo scritto e aggiunto successivamente e per la prima volta edito. Il tono però, è più scuro. Se Works rappresentava anche la gaia fuga dentro la scrittura come possibile salvezza, in Dove tutto ebbe inizio si capisce come Trevisan, in fondo, non abbia trovato pace nemmeno lì. Anzi, in quelle pagine ci sono espressi riferimenti al suicidio, come una via d’uscita che la vita mette sempre a disposizione. Se è vero che anche lì c’è beffardo sarcasmo (quanto può contribuire il suicidio al successo commerciale?) si trova una nota tragica, nuova, più dolorosa che cinica, che oggi davvero pare un testamento.