Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Diecimila aziende non mollano prefetture travolte dalle richieste
Chiudi Italia, in tanti chiedono di rientrare nelle categorie «essenziali». Bonomo: ma 77.700 si fermano e l’imprenditore non può più entrare in azienda
Prefetture travolte da migliaia di comunicazioni da parte di altrettante aziende convinte di rientrare in una di quelle filiere «essenziali» che l’ultimo Dpcm lascia in attività. La deadline di oggi per inviare una dettagliata autocertificazione ha riversato sui tavoli dei funzionari dell’interno una mole di pec difficile persino da contare. Treviso, ad esempio, racconta che sono svariate centinaia, probabilmente un paio di migliaia.
Ad esclusione delle piccole Rovigo e Belluno (quest’ultima ne conta 290), tutte le altre oscillano fra 1.700 e 2.200 comunicazione. E si sfiorano le 10 mila aziende. Numeri monstre, dimostrazione plastica della voglia di tener duro, di non chiudere. Prima regione per comunicazioni c’è proprio il Veneto. Giorni convulsi con un epilogo di giornata amaro. «Dopo la riunione di ieri pomeriggio con cui si è deciso di modificare i codici Ateco - spiega Renato Franceschelli, prefetto di Padova - dovremo rifare tutto da capo». Padova ha ricevuto circa 1.700 comunicazioni ma, spiega Franceschelli, una metà non erano compilate correttamente. È seguita una richiesta di integrazione: «Del resto, non c’è una scadenza, chi ha fatto domanda è autorizzato a restare aperto fino a eventuale sospensione». Il primato va a Vicenza con 2.200 aziende che annunciano di rimanere aperte. Si sono registrate, poi, 4 autorizzazioni da rilasciare (queste sì entro la giornata di ieri) in via preventiva e si tratta delle aziende del comparto aerospaziale, difesa e di rilevanza strategica. Nel caso vicentino si tratta di componentistica, ad esempio per i telescopi. A Venezia se ne segnalano 2 per Finmeccanica. Tutte le prefetture stanno lavorando gomito a gomito con camere di commercio, guardia di finanzia za e vigili del fuoco. Il tempo stringe e l’incrocio delle banche dati fra fiamme gialle e visure camerali consente una prima importante valutazione. Ai vigili del fuoco, poi, è affidato il controllo per le aziende che comunicano di non poter chiudere un impianto a ciclo continuo senza rischi. La maggior parte delle comunicazioni a una prima analisi appare corretta. A Vicenza, ad esempio, si segnalano fra le 20 e le 30 posizioni valutate negativamente e su cui, dopo le verifiche del caso, il prefetto potrà dispore la sospensione. Diverso ancora il caso, e non sono pochi, di chi imbocca la via della riconversione industriale lasciando i négligé per passare alle mascherine. Sono decine le aziende del tessile nella Marca che lo stanno facendo. In quel caso, però, la richiesta va fatta all’istituto superiore di sanità. Telefoni roventi un po’ ovunque e il prefetto di VeneVittorio Zappalorto commenta paziente: «In molti non hanno utilizzato il modello del sito della prefettura predisposto appositamente così siamo costretti a dire loro di ripresentare la comunicazione. Poi, va detto, che la buona volontà c’è da parte degli imprenditori». Giornata lunga, ieri, anche per il prefetto di Verona Donato Cafagna che in serata ha incontrato sindacati e camera di commercio: «Abbiamo più di 2.000 comunicazioni, alcune richieste di autorizzazione persino non necessarie, troppo lo zelo di alcuni, qualche richiesta di autorizzazione per il settore strategico e aerospaziale a cui abbiamo già dato riscontro e ora inizierà tutta l’attività delle verifiche».
Difficile dire, per ora, quanti restano chiusi e quanti continueranno. Agostino Bonomo di Confartigianato stima «Oggi non riaprirà il 61,6% (77.700)delle imprese artigiane venete, a casa il 57,5% degli addetti (188 mila persone). E, aggiungo, la questione da telefono rosso che ci si sta ponendo è quella dell’impossibilità per gli imprenditori di potersi recare nelle loro aziende ferme. Un caso che nasce da quanto sta scritto nel decreto e dai colloqui con le prefetture. Ne esce la linea che no, devono stare a casa anche a costo di multe da tremila euro. Ora è chiaro che se un’azienda chiusa venga pescata ad operare va sanzionata. Ma è inconcepibile che un imprenditore non possa muoversi per andare nella sua azienda vuota, anche solo per controllare che tutto sia a posto».