Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Mal di schiena e fasciatoi alti: maestre del nido risarcite
Avevano fatto le maestre di asilo nido per quasi trent’anni, fino a quando quel mal di schiena era divenuto insopportabile ed erano state trasferite dalla «prima linea» a dietro una scrivania. Ora però due sentenze del tribunale del lavoro dicono che quel dolore di cui soffrivano un paio di maestre d’asilo non era causale, bensì correlato al loro lavoro. E il Comune di Venezia, di cui erano dipendenti, è stato condannato a pagare oltre 55 mila euro complessivi tra danni temporanei e permanenti, spese legali e interessi. «Stiamo valutando se fare appello», spiega l’assessore all’istruzione e all’avvocatura
A Venezia Ma il Comune sta valutando l’ipotesi di fare ricorso
civica di Ca’ Farsetti Paolo Romor, anche perché sempre nei giorni scorsi il tribunale aveva invece rigettato un ricorso simile, che secondo il giudice si fondava su presupposti un po’ diversi.
In questi due casi, però, il giudice Anna Menegazzo ha stabilito il nesso di causa – o quantomeno di concausa – tra le condizioni di lavoro e il mal di schiena. E la prova è che il Comune effettivamente, a partire dall’inizio degli anni Duemila, aveva preso atto della situazione e introdotto notevoli migliorie: prima introducendo dei fasciatoi con scalette, in modo tale da non dover più sollevare solo «di braccia» i bambini, poi – solamente dal 2015 – acquistando delle sedie ergonomiche; aveva quindi aumentato la formazione alle insegnanti sulle corrette posture da tenere nelle varie situazioni e le aveva esonerate da alcune attività più pesanti, come per esempio la pulizia dei giochi e delle strutture; quindi aveva aumentato le visite mediche e i controlli per verificare eventuali dolori.
«Detti accorgimenti vennero adottati solo in minima parte prima che la ricorrente venisse dichiarata inidonea alla mansione (nel 2007) e comunque ben oltre l’inizio dell’attività lavorativa quale educatrice (1980) - è scritto in una delle due sentenze uguali - le tempistiche di manifestazione della patologia sono coerenti con la connessione causale tra attività lavorativa e insorgenza della patologia». Cosa che invece, ammette la giudice, era meno chiara nel caso bocciato di cui sopra. Da qui è derivata la condanna del Comune a pagare il risarcimento. «Le sentenze danno atto che negli ultimi anni c’è stato un impulso particolare sulla prevenzione - conclude Romor - Per gli anni prima si tratta di una pesante eredità lasciata dalle amministrazioni precedenti». (a. zo.)