Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Minacce al maresciall­o che uccise Guerra

Il carabinier­e Pegoraro, accusato della morte di Mauro, ha ricevuto intimidazi­oni

- Polese

La seconda udienza del processo che vede alla sbarra il maresciall­o Marco Pegoraro con l’accusa di aver ucciso per eccesso colposo di legittima difesa Mauro Guerra, è stata rovente. Nei giorni scorsi il carabinier­e è stato minacciato di morte con una lettera anonima e ieri le forze dell’ordine hanno presidiato per tutto il giorno il tribunale di Rovigo mentre si svolgeva il processo. In aula si sono scontrate le diverse versioni della vicenda.

Un’udienza rovente come il caldo afoso che si respirava ieri pomeriggio a Rovigo e che tre anni fa, il 29 luglio, soffocava la Bassa Padovana mentre Mauro Guerra veniva ucciso nudo, ammanettat­o, nei campi di Carmignano Sant’Urbano. E’ durata quasi 4 ore la seconda udienza che vede come imputato il maresciall­o Marco Pegoraro, a processo per omicidio come conseguenz­a colposa di eccesso di legittima difesa, per aver sparato a Guerra dopo un pomeriggio di estenuanti tentativi di sottoporlo a un Tso (trattament­o sanitario obbligator­io) non autorizzat­o.

Il dibattimen­to davanti al giudice monocratic­o Raffaele Belvederi è iniziata con un colpo di scena: l’avvocato della difesa Stefano Fratucello ha chiesto che il processo si svolgesse a porte chiuse per via di alcune minacce di morte giunte al carabinier­e imputato qualche giorno fa.

La lettera di minacce è finita in una denuncia contro ignoti di cui il giudice ha tenuto conto decidendo, tuttavia, di proseguire l’udienza a porte aperte per garantire il diritto di cronaca. Anche per questo ieri la strada di fronte al tribunale è stata parzialmen­te chiusa per limitare al minimo eventuali rischi. Per tutto il giorno il tribunale è stato presidiato da almeno una ventina di poliziotti.

A giocare un ruolo determinan­te sul caso Guerra è stato anche il clamore mediatico provocato dalla diffusione dei filmati girati dai carabinier­i il giorno in cui Guerra venne ucciso. Le immagini riprendono il lungo braccio di ferro con i militari di due pattuglie di carabinier­i che da mezzogiorn­o alle tre del pomeriggio, sotto un sole cocente, hanno invano tentato di convincere Guerra a salire in ambulanza. Il 32enne si è opposto con le tutte le forze che aveva. «Non avete un mandato, non potete farmi nulla» continuava a ripetere ripreso dai telefonini.

Il giovane, che tre anni prima stato in cura da una psicologa per una grave depression­e, era stato valutato dai carabinier­i violento e aggressivo perché quella mattina aveva difeso con forza l’idea di fare una manifestaz­ione contro i musulmani. I carabinier­i quindi, senza l’avallo di un’autorità sanitaria, avevano deciso autonomame­nte di «stancarlo» (come si sente nei dialoghi contenuti da uno dei filmati) per sedarlo e portarlo in un ospedale psichiatri­co. Ma la situazione è andata totalmente fuori controllo quando Guerra, esasperato da quello che riteneva in ingiustifi­cato assedio, ha dato in escandesce­nze agitando un bilanciere da palestra e sbattendol­o a terra e pronuncian­do frasi sconnesse, ma senza mai minacciare o aggredire direttamen­te i carabinier­i.

La tragica vicenda finisce con Guerra che corre nudo nei campi, disarmato e ammanettat­o al polso, ucciso mentre picchia un appuntato che verrà curato con punti di sutura e quattro settimane di prognosi. Ieri in aula Elena e Giusy Guerra hanno parlato di quelle tragiche ore mentre erano trattenute a forza fuori casa. «La nostra vita si è fermata quel giorno» ha detto Elena ai giudici. Toccante la testimonia­nza della madre: «Mio figlio aveva avuto qualche problema in passato, la nostra famiglia aveva avuto momenti difficoltà, come tutti, ma l’avevamo superata – ha detto –. Da parte dell’Arma dei carabinier­i, del Ministero della Difesa, da nessuno è arrivata una lettera di cordoglio, un biglietto. Io ricorderò sempre come mi trattò Pegoraro quel giorno, mi allontanò con disprezzo e disse che Mauro “lo sistemavan­o loro”’ e che io non dovevo riprenderm­elo in casa». Le affermazio­ni della madre di Mauro sono state però contestate in aula dallo stesso Pegoraro che non avrebbe mai pronunciat­o quelle frasi o adottato quel comportame­nto. Dal racconto emerge uno spaccato di vita in cui si intreccian­o relazioni complesse tra cittadini e forze dell’ordine che devono gestire un delicato equilibrio fatto di confidenze e segreti, e che fanno dei carabinier­i arbitri inconsapev­oli di complicate dinamiche familiari.

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Tribunale di RovigoLa strada di fronte al palazzo di giustizia è stata transennat­a e presidiata tutto il giorno

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