Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
UNA CORSA A DUE VELOCITÀ
La prima cosa che balza all’occhio, guardando al sempre poco nobile mercato delle candidature da una prospettiva veneta, è il drammatico restringimento del campo che si para davanti alla resistibile armata del centrosinistra. Rispetto a 5 anni fa, quando i frutti di una legge elettorale altrettanto balzana di quella attuale portarono il Pd a eleggere un numero spropositato di parlamentari (26 tra deputati e senatori, cose mai viste da queste parti), oggi i fedelissimi di Renzi che abbiano superato la scrematura per entrare in lista vanno alla battaglia con la ragionevole certezza di vedere la pattuglia nostrana più che dimezzata: 7 sicuri oltre a qualcun altro di probabile, dicono le stime. Questo scenario ha prodotto una spietata selezione della specie. Nel dubbio, una che deve farcela di sicuro come Alessia Rotta, deputata veronese, è stata sparata nel sud della Toscana come capolista del listino proporzionale. Mentre l’uomo di punta della squadra veneta a Roma, Pier Paolo Baretta, l’unico che avesse in curriculum un incarico di governo durato per tutti e cinque gli anni della legislatura (sottosegretario all’Economia), si è dovuto rimettere in gioco, affrontando l’alea di una sfida all’uninominale in un collegio tutto da conquistare. Onore alla sportività. Qualcun altro, dei papabili candidati Pd, ha preferito defilarsi e rinunciare all’ultimo momento, vista la mala parata.
videntemente il ruolo del riempilista, senza alcuna possibilità di essere eletto, richiede uno spirito di bandiera non comune a tutti.
All’opposto, si prospetta una campagna elettorale di sostanziale relax tra i ben-candidati del centrodestra. Per una quarantina di loro è più quotata, rispetto alla sconfitta, la probabilità che un meteorite, di qui al 4 marzo, si abbatta sul relativo collegio elettorale. Quelli della Lega, abituati ormai ad agire da capicordata nella coalizione, hanno pescato a piene mani dalla scuola quadri per compilare le liste vincenti: sindaci (e sindache), amministratori locali, uomini del movimento, nessuna concessione alla mitica società civile. La militanza innanzitutto (almeno 5 anni), come prescrive il manuale del perfetto soldato leghista. Forza Italia si affida ai soliti noti, più qualche innesto, per cercare di riequilibrare una partita interna diventata insostenibile da quando sul Veneto soffia il vento impetuoso che viene dallo Zaiastan: alle regionali di 3 anni fa, l’effetto-governatore ridusse gli azzurri alla miseria del 6 per cento, uno sprofondo dal quale, ragionevolmente, si può soltanto risalire. Citazione a parte per il sempreverde Antonio De Poli: i leghisti lo guardano come un usurpatore di collegi ma lui e il suo scudocrociato in formato ridotto sono ancora sulla breccia, inaffondabili.
Gli incursori a 5 Stelle completano il campo di gara. La vera sfida per loro sarà nei collegi uninominali: se ne vinceranno qualcuno, cambieranno la solita geopolitica del Veneto.