Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Valvole killer, arriva il conto beffa alla vedova della prima vittima
Cartella da 100 mila euro alla vedova Benvegnù: «Distrutta»
L’Agenzia delle Entrate ha presentato una cartella esattoriale da 100mila euro a Margherita Sambin (in foto), con cui l’ospedale vuole rientrare del risarcimento dovuto al lei per la morte del marito, a cui nel 2002 venne impiantata una valvola difettosa.
Fino all’ultimo si è sperato in un accordo, un modo per evitare alla famiglia di Antonio Benvegnù la beffa, oltre a tutto il dolore subito in 16 anni di battaglie giudiziarie. E invece qualche giorno fa l’Agenzia delle Entrate ha bussato alla porta della vedova di Benvegnù, Margherita Sambin, presentando una cartella esattoriale da 100mila euro, con la quale l’ospedale intende rientrare del risarcimento dovuto alla vedova per la morte del marito, cui nel 2002 venne impiantata una valvola aortica difettosa.
Dopo averle consegnato quei soldi, che costituivano un anticipo delle corpose provvisionali disposte quando arrivarono le condanne in primo grado, il secondo e terzo grado di giudizio capovolsero le sentenze, e ora l’Azienda ospedaliera rivuole quei soldi indietro.
«Sono distrutta, dov’è la giustizia? Dov’è lo Stato? Mio marito ha pagato con la sua vita — dice Margherita, 69 anni, casalinga — ora un giudice stabilisce che non ci sono colpevoli, ma sono loro a non averli trovati, dove li trovo io quei soldi? Ho pagato il mutuo, vivo con la pensione». Ha tutte le ragioni per essere disperata Margherita, che vive in un modesto appartamento ad Albignasego, provincia di Padova. E non è escluso che la sua disperazione diventi quella di tante altre famiglie dei malati cui erano stati impiantati dispositivi cardiaci difettosi e che potrebbero subire lo stesso trattamento.
La vicenda è quella delle valvole killer, emersa proprio dopo la morte di Benvegnù, entrato al centro «Gallucci» di Padova con un problema al cuore, uscito con una valvola innestata dall’allora primario Dino Casarotto, e deceduto 11 giorni dopo l’intervento, il 23 febbraio 2002. L’autopsia rilevò che le valvole erano difettose e le indagini successive dimostrarono che dietro a quella partita di dispositivi «Tri Tech» giunti dal Brasile non c’era solo un malfunzionamento, ma anche un giro di tangenti con cui il distributore italiano delle valvole Vittorio Sartori avrebbe «oliato» medici e primari per promuovere l’acquisto. Il processo per omicidio colposo, lesioni e corruzione finì in primo grado con pesanti condanne: Casarotto prese cinque anni e quattro mesi, l’Azienda ospedaliera dovette risarcire i pazienti. Ma in secondo grado e in Cassazione la sentenza venne ribaltata: la vicenda delle tangenti finì in prescrizione, e l’azienda ospedaliera fu sollevata da ogni responsabilità. Gli unici responsabili erano i produttori brasiliani delle valvole, che però nel frattempo erano spariti. I soldi invece, quelli ci sono sempre, e l’azienda ospedaliera ha deciso di riprendersi i risarcimenti concessi ai famigliari delle vittime. Dal canto suo l’Azienda stessa si è sempre difesa sostenendo che, a fronte delle sentenze che sono intervenute sul caso, se non richiedesse i soldi indietro rischierebbe pesanti sanzioni dalla Corte dei Conti.
«Non trovo parole per dire come mi sento — dice ora Margherita Sambin — possibile che non ci sia nessun responsabile? Mi avevano dato 97 mila euro, e a mia figlia 74mila, adesso mi chiedono 100mila euro, i 3mila euro in più per le spese burocratiche, ma lo sanno che sono 16 anni che pago gli avvocati? Mio marito faceva il tecnico Telecom, io vivo con una pensione da 1000 euro al mese, mi devo sentire in colpa per aver speso quei soldi per la casa?» dice tra le lacrime tenendo in mano la cartella. «Ci sono ancora delle pendenze in Appello per i risarcimenti — spiega l’avvocato Bruno Bertolo, che da 16 anni segue la famiglia Benvegnù — l’azienda ospedaliera si è comportata come un bulldozer. Non ci arrendiamo, non può finire così. Sono disumani»..