A 93 anni sconfigge il Covid «I sanitari l’hanno salvata»
Quattro mesi di ospedale e un intervento al femore. Il racconto delle figlie
TRENTO Lo sguardo vivace dietro alla montatura nera degli occhiali. Il sorriso appena accennato e le dita alzate in segno di vittoria. Un breve scatto immortala l’ultima sfida vinta, forse una delle più importanti. Alle sue spalle, in quell’immagine capace di fermare il tempo, ci sono le fotografie di tutte le persone più care. Quattro mesi di ospedale, le speranze che si affievoliscono, la paura di un destino che sembrava ormai già scritto, poi quella forza e quell’amore che non l’hanno mai abbandonata. Fernanda Mottes, 93 anni compiuti al San Camillo durante il lockdown, un’energia invidiabile e la passione sfrenata per le parole crociate («Le ha volute anche in ospedale», ricorda una delle figlie) ha sconfitto il Covid-19. «Ha una fibra forte», dicevano i medici dopo averla operata al femore, ma poi arriva il coronavirus e le speranze si affievoliscono, la paura cresce. Lei non si è mai arresa e neppure i sanitari. «Quando ho saputo che aveva contratto il Covid ho detto al medico: ha 93 anni, ma curatela come ne avesse 25. E lo hanno fatto», ricorda commossa una delle figlie, Ave Maria.
Fernanda venerdì è tornata nella sua casa di Fai della Paganella con la stessa vitalità di prima e un pizzico di amore in più per la tecnologia riscoperta in ospedale quando gli infermieri le mostravano il tablet per video-chiamare le tre figlie, Ave Maria, Claudia e Maddalena. «Brontolava sempre quando ci vedeva con il cellulare o il computer in mano, ma tornata a casa ci ha detto: “certo che sono comodi quei cosi lì”», racconta l’altra figlia, Maddalena. Poi la voce si incrina: «Se non ci fossero stati i medici e gli infermieri lei ora non sarebbe qui con noi. Non potremmo mai ringraziare abbastanza il primario Guido Lampronti e tutto il suo staff medico e paramedico, gli infermieri, che si sono alternati nei vari reparti». La paura e il senso di impotenza sono i sentimenti che più hanno accompagnato questi lunghi mesi. Ma i medici e gli infermieri giorno dopo giorno sono rimasti vicini alle figlie di Fernanda pur nella fretta di un momento di emergenza senza uguali, pur nell’incertezza, perché nessuno conosceva il Covid e nessuno sapeva come curarlo. «Sono stati come una famiglia», spiega Maddalena e ricorda quando tutto è iniziato.
Era il 25 marzo in piena emergenza. Fernanda ha sempre vissuto da sola, anche se una delle figlie abita nella stessa casa, ma a un piano diverso. Alzandosi dalla sedia è caduta a terra fratturandosi il femore. È stata subito soccorsa e trasportata all’ospedale Santa Chiara di Trento in ambulanza. «Noi a causa del Covid non potevamo entrare», ricorda Maddalena. Il 27 marzo viene sottoposta a un intervento chirurgico e va tutto benissimo, forse oltre le aspettative. Il giorno dopo Fernanda è già in piedi, pronta per la fisioterapia. I giorni passano in fretta e il 6 aprile viene trasferita all’ospedale San Camillo. «Era il suo compleanno — ricorda ancora Maddalena — era difficile sapere le cose di preciso perché spesso in ospedale non riuscivano a rispondere, erano tutti pressati, la situazione era drammatica. Appena ho saputo del trasferimento mi sono precipitata davanti all’ingresso dell’ospedale San Camillo. Volevo solo vederla». Ma Fernanda era già stata portata in reparto. «Un’infermiera mi chiese chi stavo cercando e appena ha capito mi ha chiesto il numero di cellulare ed è corsa all’interno dell’edificio. Pochi minuti dopo mi ha chiamata dal suo telefono e mi ha passato mia mamma. Non lo dimenticherò mai, una gentilezza impressionante che non ti aspetti, soprattutto in quei momenti. Era di fretta, doveva fare un altro trasporto, ma ha voluto lo stesso che parlassi con mia mamma». Maddalena racconta e si commuove.
Dal 6 al 12 aprile Fernanda rimane nel reparto dedicato alla fisioterapia, ma ogni giorno peggiora, non mangia, i medici sono agitati. Il 13 aprile viene sottoposta a una terapia con l’ossigeno. «Il giorno dopo un medico molto gentile ci disse che avevano fatto il tampone». Poi il 15 aprile arriva l’esito: positiva al Covid-19. È così iniziato il lungo periodo di incertezza e paura. «Gli infermieri non dicevano niente — spiega Maddalena —, i medici parlavano con parole misuratissime, tra speranza e “non sappiamo”. E poi: “preparatevi a tutto”. Dal 20 aprile abbiamo iniziato a vederla tutti i giorni attraverso le videochiamate. Era difficile, spesso non ce la facevano con i tempi ma non ci hanno mai fatto mancare la videochiamata, anche se breve». Fernanda però continua ad aggravarsi. «Prima indossava una mascherina tipo aerosol e poi una ancora più grande». Talvolta le figlie non riescono neppure a terminare la telefonata. Fernanda continua a stare male. «I medici ci hanno detto di prepararci al peggio, però non davano mai certezze, ce lo dicevano senza toglierci la speranza, ma senza promesse. Il problema era scegliere la terapia giusta perché il fisico poteva non reggere». La situazione a un certo punto sembra precipitare: Fernanda vomita, poi ha un problema al cuore e ai polmoni. Ma non si arrende, mai. E il 20 maggio viene dimessa dal reparto Covid e trasferita in una stanza da sola per dodici giorni. A metà giugno inizia la fisioterapia, qualche passo, poi una breve passeggiata e venerdì Fernanda è tornata a casa e ha potuto riabbracciare le sue figlie e le nipoti. «Siamo tutte donne», sorridono. Per Fernanda è stato un nuovo inizio, nei suoi occhi si legge la felicità, ma il pensiero è rivolto a loro, ai camici bianchi, ai loro sacrifici, ai loro sguardi gentili, segnati dalla stanchezza: «Non mi hanno fatto mancare mai niente, facevano tutto con il cuore», dice.
Maddalena Ci dissero di prepararci al peggio, ma lei è sempre stata forte
Ave Maria Ho chiesto: curatela come se avesse 25 anni e lo hanno fatto