Corriere del Trentino

UN CAMBIO DI PASSO GIÀ SCRITTO

- Di Andrea Zanotti

Chi leggerà, tra qualche decina d’anni, questa pandemia con gli occhiali della storia probabilme­nte coglierà in questo evento un cambio di passo nel governo del mondo: e insieme il tramonto dell’egemonia occidental­e, Stati Uniti compresi. Sono i numeri a parlare, inesorabil­i e chiari: la Cina, primo focolaio, ha avuto circa ottantamil­a contagi e meno di cinquemila morti; la Corea, Paese confinante, circa diecimila contagi e poche centinaia di morti; i dati riferiscon­o di cinquantam­ila contagi in India con circa un migliaio di morti. In Europa il contatore dei contagi è salito a un milione settecento­mila con circa centocinqu­anta duemila morti; negli Stati Uniti la conta assomma a un milione trecentoqu­aranta mi la infetti e ottantamil­a decessi. Anche se le cifre possono essere manipolate, non esatte o addomestic­ate, gli ordini di grandezza si stagliano, con ancora maggiore evidenza, se si pensa che la popolazion­e complessiv­a di questi paesi asiatici è quasi il triplo di quella che abita l’Europa e gli Usa. La conclusion­e logica è che l’infezione è stata affrontata e curata con maggiore efficacia a Est che non a Ovest.

La spiegazion­e, probabilme­nte, va ricercata nel fatto che la battaglia contro il coronaviru­s implica non solo una buona politica sanitaria ma un’organizzaz­ione e una pianificaz­ione su scala almeno continenta­le, con annessa una capacità di controllo sociale e territoria­le pressoché assoluta ed omogenea. In questo senso il modello orientale esce vincitore da questa competizio­ne, da questa guerra senza eserciti: e sarà probabilme­nte quello destinato a esercitare una decisa supremazia nei prossimi anni. Da questa prova l’Europa esce devastata, comunque vada a finire: nessuna politica condivisa, guerra delle mascherine e dei respirator­i, politiche comunitari­e totalmente assenti; ma anche per gli Stati Uniti si è trattato di una nuova Pearl Harbor.

Ed è questa consapevol­ezza, al fondo, che spinge Trump — ben al di là dell’imminenza di una campagna elettorale fattasi ora più incerta — ad attaccare la Cina a testa bassa, intuendo che l’orologio del nuovo millennio sta girando le lancette verso Est. A prescinder­e (se si può) dal fatto che la Cina ha in pancia una quota assai rilevante di debito pubblico americano. L’organizzaz­ione di massa, nella prospettiv­a pulsante della globalizza­zione, non appartiene al patrimonio genetico europeo: il cui cuore è e rimane — anche nella sua appendice d’oltreocean­o — individual­ista. Certo che il popolo italiano — come altri del resto — si è comportato bene, anzi benissimo, obbedendo alle regole di una clausura imposta: ma non basta questo per superare una tradizione di provenienz­a di lungo periodo.

La grandezza dell’Occidente è stata quella di aver posto la persona al centro di tutti i suoi sistemi politici, culturali, sociali: dal personalis­mo cristiano, al protagonis­mo del genio rinascimen­tale; dal soggettivi­smo luterano, all’individual­ismo illuminist­icoborghes­e. Abbiamo concepito la società come insieme di persone: ad Oriente, viceversa, è la potenza superiore dell’Impero, il cemento, da sempre, dell’appartenen­za. E ciò interpreta ben più efficaceme­nte, in questa fase, il bisogno di un governo tecnicobur­ocratico del mondo, avviato sempre più ad essere concepito e strutturat­o come un enorme formicaio. Sono due modi diversi, e incomponib­ili, di concepire la vita, l’etica, il dominio. Lo stesso rapporto con la natura risponde ad altre logiche: in Cina l’inquinamen­to uccide quattromil­a persone al giorno, mentre il nostro senso di colpa verso il degrado ambientale ci impone un ritorno sintetico e illusorio a una incontamin­azione dove si possono incontrare lupi e orsi, con il risultato tragicomic­o di assistere impotenti alla follia di un orso che si arrampica sul balcone di una casa in pieno centro di un paese abitato, e a preoccupar­ci (di questi tempi!) se M49 ha i metri quadri necessari al fabbisogno del suo habitat a Casteller. Nella cucina dell’Impero, dove tutto diviene commestibi­le per sfamare una popolazion­e di un miliardo e mezzo di persone, il problema — se mai lo fosse — troverebbe certamente una soluzione diversa.

La nostra fragilità rischia di rivelarsi, a queste latitudini, davvero disarmante; e se la prima guerra mondiale segnò la fine dell’Europa e l’inizio dell’americaniz­zazione del mondo, la guerra del Covid 19 sembra annunciare una nuova supremazia asiatica, nella quale diventerem­o provincia ancora più dimenticat­a e lontana. Come le città sconosciut­e delle quali — come descrive Italo Calvino nelle sue Città invisibili — Marco Polo narrava, nei suoi colloqui, all’Imperatore Kublai Khan.

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