«Il boato e la corsa in auto Così attaccarono la Lega»
Cellulari abbandonati e biglietti manoscritti: ecco come agivano
TRENTO Il timore di essere scoperti forse lo avevano. Si spiegherebbe così il modus operandi che la cellula anarchica finita nel mirino dei Ros e della Digos ha messo in atto. Dall’ordinanza emerge infatti che i sette compagni arrestati (Luca Dolce, Roberto Bottamedi, Giulio Berdusco, Agnese Trentin, Andrea Parolari, Nicola Birganti e Sacha Marie Antonia Beranek )si muovevano con grande cautela. Gli uomini del Ros, che nell’ambito dell’operazione Renata sono riusciti a piazzare cimici sia nelle auto che nell’abitazione degli indagati al Bosco di Civezzano, li vedono muoversi con circospezione. Spesso abbandonano i propri cellulari, li lasciano a casa o in auto. Parlano con foglietti manoscritti per non farsi sentire, fanno soste in vari distributori «con taniche di plastica in seguito nascoste». Dieci euro di benzina qui, venti euro lì. Per non dare nell’occhio, «mediante l’adozione, come ennesima accortezza di usare la colonnina più esterna all’impianto».
L’attentato alla Lega
I carabinieri li hanno seguiti passo passo e il 13 ottobre, pochi minuti dopo l’esplosione avvenuta alla sede della Lega di Ala, dove era atteso anche il vicepremier Matteo Salvini, li hanno anche fermati. Nell’ordinanza vengono ricostruiti minuziosamente i minuti precedenti lo scoppio della bomba. «Alle 00.29 — si legge — Parolari si allontana dalla propria abitazione con una bicicletta cercando di celare i propri intenti. Alla stessa ora Beranek lascia la propria abitazione , in piazza Manifattura fa salire Briganti e alle 0.58 ripartono. Passano per Mori, arrivano a Cazzano di Brentonico. Si fermano in una area di sosta: non parlano, ma le microspie dei Ros e della Digos sentono «rumori compatibili con nastro adesivo e la pallina miscelatrice di una bomboletta di vernice spray».
Ripartono alle 1.22, arrivano ad Ala e parcheggiano in via Malfatti: Parolari scende, «le telecamere della cassa Rurale lo immortalano transitare in direzione di via Nuova». Qui, al civico 40, si trova la sede della Lega. Torna in auto alle 1.46. I tre alle 1.51 scendono tutti insieme dall’auto.
Le telecamere della Rurale li vedono ancora muoversi verso via Nuova: alle 2.10 le stesse telecamere riprendono la Beranek che torna in auto. Tic, tic, tic. Ancora la pallina miscelatrice, quindi il rumore di una chiave che fa accendere il quadro strumenti del veicolo. Alle 2.17 il boato dell’esplosione e 23 secondi dopo Beranek accende l’auto. Alle 2.12 le telecamere registrano il passaggio di Parolari, «seguito a brevissima distanza da Briganti: correndo si dirigono in via Malfatti». La scena si sposta ancora, dalle telecamere all’auto. «Alle 2.12 due persone con respiro affannato salgono sulla Polo e ripartono».
Questa volta però i carabinieri li fermano, poco dopo, a Besagno: sequestrano la bomboletta spray e il nastro adesivo. Nastro traditore? Per le forze dell’ordine sì visto che sul luogo dell’attentato verrà trovato lo stesso nastro rinvenuto nella Polo. Nel viaggio verso la caserma, intercettati, si accordano: si trovavano lì perché pronti per una gita sull’Altissimo. Tutti questi sono indizi, ovviamente, accuse su cui ora la difesa dovrà dire la sua.
Il modus operandi
Che potessero essere sorvegliati i sette arrestati lo sapevano. Il 30 aprile 2017, alla vigilia dell’attentato contro i tralicci di Monte Finonchio, o Bottamedi e Dolce «abbondavano i loro telefoni accesi all’interno dell’abitazione di Bosco per non essere localizzati. I due si dirigevano in località Moietto e lasciavano l’autovettura parcheggiata all’inizio del sentiero che conduce al Finonchio». Al Moietto non sarebbero mai più tornati, nemmeno il giorno dell’attentato: un modo per depistare gli inquirenti?.
Nella casa di Civezzano Berdusco e Bottamedi vengono visti il 28 settembre 2018 consultare una cartina di Trento «concentrandosi su Trento Nord (qui ha sede la polizia municipale dove avrebbero piazzato nove molotov, ndr). Per comunicare tra di loro usavano gesti e biglietti manoscritti, dei quali poi si disfano gettandoli nel camino».