Corriere del Trentino

Rivolta in carcere Gli indagati sono ottantacin­que

Contestati i reati di violenza a pubblico ufficiale, incendio e danneggiam­ento

- Dafne Roat

Sono ottantacin­que i detenuti indagati nell’ambito dell’inchiesta aperta dalla Procura dopo i disordini avvenuti nel carcere di Spini a Trento lo scorso 22 dicembre. In poche ore i detenuti avevano messo sotto sopra numerose sezioni. Ingenti i danni.

TRENTO Trenta indagati, massimo quaranta: erano solo le prime stime. Sembrava già un numero importante, ma nel corso delle indagini è cresciuto e ora sono saliti a 85 i detenuti, di cui la maggior parte (38) di origini tunisine, poi ci sono marocchini, albanesi, ma anche italiani, accusati di aver partecipat­o alla rivolta del 22 dicembre scorso. In poche ore il carcere era stato messo a ferro a fuoco, intere sezioni erano state danneggiat­e, alcune sono tuttora inservibil­i. È difficile dimenticar­e quelle ore di lunghe trattative all’interno della casa circondari­ale di Spini di Gardolo e l’estenuante attesa dei familiari che aspettavan­o all’esterno, con i bambini nei passeggini e per mano, nella speranza di poter far visita al loro familiare.

Ora è tornata la quiete in carcere, ma il conto della giustizia non è ancora arrivato. E sarà pesante. Nei giorni scorsi, infatti, è stato notificato agli 85 detenuti l’avviso di conclusion­e indagini firmato dal procurator­e Sandro Raimondi e dal sostituto Antonella Nazzaro. Nell’atto d’accusa vengono contestati i reati di danneggiam­ento, incendio, violenza e minaccia a pubblico ufficiale e lesioni, mentre la Procura ha deciso di non procedere per il reato di sequestro di persona ipotizzato in un primo momento per il blitz nella lavanderia. Quando gli animi erano più surriscald­ati e la tensione era ormai alle stelle alcuni detenuti avevano rinchiuso in lavanderia un dipendente impedendog­li di uscire dal locale. In realtà pare che i detenuti volessero sempliceme­nte rinchiuder­si per evitare il momento più critico della sommossa.

Nell’indagine, condotta dalla polizia penitenzia­ria, si ricostruis­cono i momenti salienti della rivolta scoppiata dopo la notizia, lanciata da un detenuto impiegato nell’ufficio interno conti correnti, della morte di Sabri El Adibi, il trentaduen­ne di origini tunisine che si è tolto la vita in cella. Un gesto estremo avvenuto a pochi mesi dalla libertà che ha scatenato la reazione dei compagni. Sono dieci, di cui la maggior parte di nazionalit­à tunisina e marocchina, i presunti promotori della sommossa individuat­i dalla Procura. Sarebbero stati loro a guidare la rivolta iniziata verso le 8.30 del mattino nella sezione G. Tutto era cominciato con una semplice battitura dei cancelli, un atto di protesta tipico nei carceri. Mentre l’eco del ferro battuto diventava sempre più assordante un manipolo di cinque detenuti hanno incitato la rivolta. Erano le 9.10 del mattino, solo l’inizio della sommossa. Il passo successivo è stato l’incendio di una saletta ricreativa della sezione F. Le fiamme e il fumo iniziavano a invadere la sezione quando altri due detenuti con un asticella di metallo hanno spaccato una telecamere. Poi è stata la volta delle plafoniere e delle luci. In poche ore la rivolta ha coinvolto anche le sezioni F al primo piano, poi al secondo la G e la H. Piatti e bombolette lanciate, le minacce. Sono state solo l’inizio, in poco tempo la guerriglia ha assunto importanti proporzion­i, sedata solo dopo una lunga giornata di trattative. I danni sono ingentissi­mi. Ora le difese, che sono già al lavoro, avranno venti giorni di tempo per presentare le controdedu­zioni.

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L’intervento I vigili del fuoco e le forze dell’ordine durante l’intervento in carcere per sedare la sommossa

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