Brigitte Niedermair rilegge la mummia dei ghiacci «Ötzi»
Icona turistica assoluta (ma anche, cosa meno nota, oggetto da anni di studi scientifici approfonditi) la mummia dei ghiacci «Ötzi» è ancora in parte un mistero. Per come si è dipanata la vita di questo pastore-guerriero e anche pensando ai motivi della sua esplosiva risonanza mediatica. C’è chi arriva a Bolzano, visita il museo di «Ötzi» all’inizio di via Museo e poi torna nelle valli o in altre città della provincia o d’Europa.
Ora la mummia dei ghiacci è anche protagonista di una mostra, a Castel Tirolo\ Schloss Tirol, maniero sopra Merano e sede del museo storico-culturale provinciale diretto da Leo Andergassen.
Ed è dunque già aperta la mostra fotografica «eccehomo», nella quale Brigitte Niedermair rilegge «Ötzi», allestimento visitabile fino al 9 dicembre e inaugurato da Angelika Fleckinger, direttrice reggente dell’Azienda musei provinciali e direttrice del museo archeologico dell’Alto Adige e dallo stesso Andergassen.
Ecco «eccehomo». Un titolo scelto dall’artista stessa, per richiamare l’attenzione sul corpo come tempio – o archivio - della memoria
in cui è custodita un’intera vita e che, come un libro (o un codice biografico, o un catalogo scientifico o una raccolta di appunti in un laboratorio), si può consultare.
Così accade delle immagini di «Ötzi» realizzate da Niedermair: non semplici ritratti, ma un corpo che da reale è sublimato a sua metafora o «immaginificazione». Un corpo metaforico da usare contro l’oblio della biografia umana. Nelle fotografie esposte, la pelle ricopre il ruolo di memoria visiva e tattile dell’uomo, conserva quanto è ed era biograficamente reale, diviene metafora di una vita. Tanto più che il corpo della mummia sembra non recare alcun segno visibile della morte ed essersi fermato in un istante protrattosi per millenni.
Brigitte Niedermair (Merano, 1971) fotografa da oltre vent’anni, alternando la ricerca artistica alla fotografia di moda. Le esperienze maturate nei due ambiti hanno permesso di sviluppare un discorso unitario molto fecondo che le ha dato notorietà. Sin dagli anni Novanta ha indagato con grande impegno etico il tema dell’identità e del corpo femminile nei suoi aspetti più profondi e immateriali e più di recente ha focalizzato il proprio lavoro artistico verso una direzione concettuale.
Nella mostra, la fotografia dell’«Uomo venuto dal ghiaccio» occupa l’intera sala. E le note critiche alla mostra non lasciano dubbi: «Il corpo tridimensionale diviene, nella sua rappresentazione bidimensionale, la “pelle” dell’osservatore. È il corpo ad avvolgere. Così i destinatari di questo processo si pongono all’interno di un ambiente mediatico che trasforma l’io dell’osservatore in “oggetto” davanti all’ “oggetto”, ovvero in “soggetto” davanti al “soggetto”. La ricerca “eccehomo” può essere interpretata come preghiera che mira a sospendere le categorie tradizionali dell’esistenza». Ma non esageriamo, ecco.