Il film verità
Grazie a un film come «L’insulto» del regista Ziad Doueiri riusciamo a capire quanti veleni si possano depositare nella vita quotidiana a tanti anni di distanza da una guerra civile atroce e spietata. Ambientato a Beirut in una metropoli che, in realtà, fatica non poco a cambiare pelle: uscita devastata dalla guerra civile (1975-1990) è stata riedificata al centro, con un’impronta nettamente occidentale, mentre la periferia mantiene l’aspetto sconnesso e difficile di un tessuto che non riesce a nascondere le cicatrici. È una sintesi della situazione del nostro tempo. È misurarsi con i mali e le speranze che attraversano la nostra umanità, perché in essa si concentrano tutti i sintomi dei malanni e degli orrori della nostra epoca: i volti dei due principali protagonisti (Toni garagista cristiano e Yasser ingegnerie civile, profugo palestinese) ne sono lo specchio, la lotta tra sopravvivenza e prepotenza, il conflitto tra ricchezza e povertà, guerra e terrorismo, laicità e religioni, etica e barbarie, integralismi e tolleranza, esclusione e convivenza: ci vuole il cinema, la letteratura a spiegarlo. Nell’«Insulto» basta un banale incidente, causato dalla riparazione di una semplice grondaia, tra un capocantiere palestinese e un meccanico per provocare una valanga senza limiti. Prima un battibecco, poi una controversia minore che finisce in una piccola aula di tribunale che richiama l’attenzione dell’opinione pubblica in un processo che diventa un caso nazionale con le fazioni che si raggruppano e tornano a odiarsi. Spaccate tra il sostegno alla parte cristiano-libanese e quello alla parte palestinese: Tel al-Zaatar, dove nell’agosto del 1976 vennero uccisi quasi tremila palestinesi alloggiati in un campo profughi; Damour, dove vennero soppresse quasi seicento
persone. Una doppia carneficina, che noi in Occidente abbiamo dimenticato.
Antonio Marchi,
ragioni climatiche ha poi perso parte degli aghi. E la critica dei romani lo ha subito denominato spelacchio, in quanto assai poco adornato dal Comune. L’albero di Natale è significativo soltanto se è ben decorato, soprattutto di luci. Perché mette in risalto il bambinello, nato per essere l’unica vera luce di questo mondo.
Marco Gaddo,