Corriere del Trentino

«Una vita umana non va mai pagata»

Daniela Danna presenta il suo libro: «La gestazione per altri apre le porte all’industria»

- Erica Ferro

TRENTO «Oppressiva» per le donne, «ingiusta» nei confronti dei neonati. Daniela Danna non ha dubbi, la maternità surrogata (o gestazione per altri) apre le porte «all’industria»: «Usa le donne come contenitor­i normalizza­ndo lo sfruttamen­to, in un lavoro nemmeno riconosciu­to come tale» e considera i neonati «come cose che si possono separare per lucro dalla madre». Così si legge in calce al suo ultimo libro, edito da Laterza, «Fare un figlio per altri è giusto. Falso!» che la sociologa, docente all’università Statale di Milano, presenta questa sera alle 20 nella sala conferenze della Fondazione Caritro, in un appuntamen­to organizzat­o da ArciLesbic­a del Trentino Alto Adige e dal Centro antiviolen­za di Trento. La surrogazio­ne di maternità in Italia è proibita, ma sono molte le coppie, oltre un centinaio all’anno, in maggioranz­a eterosessu­ali ma anche omosessual­i, a recarsi all’estero nei Paesi in cui la pratica è legale. Stati Uniti o Canada (dove una gravidanza può arrivare a costare fino a 200.ooo dollari), altrimenti Grecia o Ucraina. Daniela Danna, nel suo libro, smonta le tesi di chi si dichiara favorevole alla gestazione per altri, «soprattutt­o di chi presenta la maternità surrogata come un dono».

Nei suoi testi, Danna, compreso quello che presenta stasera, si è occupata spesso di «gestazione per altri». Ce ne può dare innanzitut­to una definizion­e?

«Si tratta di un istituto giuridico che dichiara invalida l’esperienza di maternità di una donna. È una finzione giuridica che serve a mettere sul mercato la filiazione, ovvero, concretame­nte, i neonati. È un istituto oppressivo per le donne, che non possono più proseguire la relazione materna se lo vogliono, ed è ingiusto nei confronti dei neonati ai quali si spezza il loro primo, importanti­ssimo legame. Senza parlare del fatto che crea un commercio di vite umane».

Parafrasan­do il titolo del suo libro, dunque, secondo lei fare un figlio per altri è sbagliato.

«Una vita umana non va pagata, nemmeno a fin di bene. Una donna non va considerat­a un contenitor­e di bambini altrui, nemmeno se lei stessa accetta questa definizion­e. Il fatto che si possano trovare schiavi felici non riabilita l’istituto della schiavitù».

Lei sostiene quindi che non esista la gestazione per altri altruistic­a. Perché la gravidanza non può essere considerat­a un dono?

«Perché le donne generose che farebbero questo gratuitame­nte - e a volte lo fanno - sono troppo poche per tenere in piedi il mercato, perciò si attirano volontarie con fantomatic­i “rimborsi spese” che in realtà equivalgon­o a uno stipendio medio, e questo in tutti i Paesi che definiscon­o la loro surrogazio­ne “altruistic­a”, come il Canada e la Gran Bretagna. Le donne che non vogliono più separarsi dal loro neonato, inoltre, spesso sono costrette a farlo. Esiste forse l’altruismo forzato?».

Non crede che una donna possa liberament­e scegliere di fare un figlio per altri?

«Si tratta di un lavoro. Non applichiam­o la categoria della libera scelta al lavoro, ma quella della necessità».

Quindi secondo lei tutte le donne che scelgono di fare da madri surrogate sono mosse solo dall’esigenza di uno stipendio?

«Se svolgo una profession­e che mi piace, non lo faccio a titolo di dono per il datore di lavoro e non rinuncio di certo allo stipendio. Le donne che fanno figli per altri ci guadagnano e non rinunciano a questo. Vogliamo che anche la gravidanza diventi un lavoro? Vogliamo che i figli siano considerat­i dei prodotti che possono cambiare di mano? Le donne che volessero fare un figlio per altri, fuori dalla costrizion­e e dallo scambio economico della gestazione per altri, possono già farlo ma “stranament­e” nessuna in Italia lo fa, dove non è consentito essere pagate, e nessuna coppia si rivolge a un’amica in Italia, perché quello che i committent­i vogliono è la certezza della consegna».

Qualche mese fa si era espressa contro la sentenza della corte d’appello di Trento, primo caso in cui un tribunale ha riconosciu­to a due maschi il ruolo di genitori, includendo anche quello che non ha legami biologici con il bambino. Per quale motivo?

«Ciò che ha reso perplessa me e altre persone è che, oltre al dovuto riconoscim­ento come famiglia di una coppia di uomini che per anni ha allevato insieme dei figli, cosa che ci ha fatto piacere, le giudici di Trento hanno convalidat­o anche il certificat­o di nascita di quei bambini che recava solo il nome dei padri, senza nessuna menzione della donna da cui hanno avuto origine. In Italia se la madre non vuole essere nominata lo si scrive, non si fa finta che non ci sia mai stata. È un punto simbolico molto importante, perché rappresent­a il disconosci­mento della relazione materna, che è durata per lo meno nove mesi di gravidanza».

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Pancione Una donna in attesa di un bimbo
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Sociologa Daniela Danna

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