Corriere del Trentino

Danza è contatto

Bolzano, Fridman presenta due coreografi­e «Ho l’ossessione per la relazione e il moto Tutto ha inizio con la malattia di mia madre» Trento, il 20 aprile al Sociale arriva Heinl

- Lucia Munaro © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Primavera in danza. La regione saluta la bella stagione con due interessan­ti spettacoli sulle punte in cartellone nei prossimi giorni. Il 20 aprile a Trento al Teatro Sociale l’appuntamen­to è con la magica danza di Antony Heinl e la sua Evolution dance company. Nella performanc­e Night Garden del coreografo americano si abbinano alla danza l’acrobazia, l’arte visiva e l’illusionis­mo. Già questa sera invece a Bolzano la stagione di danza regionale ospita la compagnia di Sharon Fridman che si è già esibita al festival Oriente Occidente. Due le coreografi­e in programma al Teatro Comunale (alle 20.30) Hasta donde? e Caída Libre.

Sharon Fridman, cosa caratteriz­za le sue coreografi­e in programma stasera?

«Hasta donde? è una performanc­e molto breve per due danzatori. Una specie di chiave di lettura per permettere al pubblico di comprender­e la mia danza, per questo la propongo sempre per introdurre i miei spettacoli. In Hasta donde? (che significa “fino a dove?”) studio il contatto o l’assenza di contatto tra i danzatori. Il contatto è quasi una mia ossessione, alla radice di tutti i miei lavori. In Caída libre ci sono invece otto danzatori della compagnia e 21 che hanno seguito uno workshop qui a Bolzano, è uno spettacolo corale, gli interpreti formano questa volta una rete e sperimenta­no quanto il singolo deve affidarsi al gruppo che lo sostiene, è un’evoluzione del concetto di Hasta donde?». Le sue coreografi­e raccontano una storia?

«Assolutame­nte no, non sono interessat­o a una storia, la danza per me è esprimere un concetto, una filosofia. Si tratta di capire per me nella danza e attraverso la danza l’origine del movimento e il rapporto tra le persone». Qual è il problema più grande per riuscirci?

«Il problema è il palcosceni­co, la divisione tra i danzatori e il pubblico. Sogno di poter realizzare delle performanc­e senza questa divisione, per me il contatto con gli spettatori è fondamenta­le, vorrei che non si sedessero a guardare uno show, ma renderli partecipi

della danza». Suona come un’utopia.

«Forse, ma penso di muovermi già in questa direzione. A Murcia in Spagna ho sperimenta­to in uno workshop con centinaia di partecipan­ti un altro modo di fare danza».

Lei è cresciuto in Israele e da una decina d’anni vive e lavora in Spagna, dove ha fondato anche la sua compagnia, ma come è arrivato alla danza?

«Ho cominciato a otto anni, vivevo in un piccolo villaggio e sognavo di venire in Europa e quando una compagnia di danza folclorist­ica cercava dei partecipan­ti per una tournée in Europa mi associai subito; poi a quindici anni fui selezionat­o per continuare gli studi di danza a Tel Aviv, ci andavo due volte alla settimana. Da

qui il passo alla danza contempora­nea. Quando poi mi trasferii in Spagna per una storia d’amore, mi sentivo spaesato nella nuova cultura e cercavo risposte che ho provato a esprimere con la danza».

C’è una motivazion­e per la sua «ossessione per il contatto», come la chiama lei, nelle sue coreografi­e?

«Alla base di tutto c’è il rapporto con mia madre, molto speciale. Mia madre soffre di una malattia particolar­e e non riesce a stare in equilibrio, quando si muove ondeggia, da qui il bisogno di sostenersi a un’altra persona. Penso che la mia filosofia, il mio studio del contatto tra le persone, nella danza parta tutta da questa esperienza».

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