Informazione e internet Pagliaro sfata i falsi miti
PAGLIARO ANALIZZA WEB E STAMPA LOTTA AI FALSI MITI DI INTERNET IL RIMEDIO È LA CONSAPEVOLEZZA L’ex direttore a Trento e Bolzano, oggi con Lilli Gruber coautore di «Otto e mezzo», ha appena dato alle stampe per il Mulino un saggio sicuramente utile ai gior
Troppa informazione, nessuna informazione. Di fronte al pericolo dell’infobesità, il rimedio si chiama «consapevolezza», perché nessuna legge e nessuna tecnologia possono «salvare dall’ignoranza e dalla manipolazione chi non si rende conto di come funziona l’ambiente nel quale vive». Parola di Paolo Pagliaro, giornalista di lungo corso e di eccezionale bravura, che ha mosso i primi passi professionali nella natia Bolzano, poi è stato caporedattore di Repubblica, direttore dell’Adige di Trento e del Mattino di Bolzano nonché di altre testate. Oggi, con Lilli Gruber, è coautore della trasmissione «Otto e mezzo» per la quale cura l’editoriale «Il punto di Paolo Pagliaro». E «Punto» (edizioni Il Mulino) si chiama anche il libro che ha appena pubblicato, un volumetto prezioso per chi fa il nostro mestiere, ma soprattutto per i cittadini che vogliono ragionare con la propria testa.
I lettori della regione ricorderanno bene i suoi editoriali: chiudevano rigorosamente in prima, quindi erano di una quarantina di righe e si leggevano in un fiato. Colpiva la sua capacità di individuare il tema giusto e di compiere analisi sempre originali: sembravano scritti di getto, invece a volte impiegava ore e non di rado era l’ultimo articolo del giorno a essere chiuso. Meditava ogni parola e verificava ogni affermazione: aveva e ha il massimo rispetto per il lettore (e per la verità), quindi neanche le virgole erano messe con superficialità. Lo stesso stile caratterizza oggi i suoi commendi ti su La7 e il libro che ha un eloquente sottotitolo: «Fermiamo il declino dell’informazione».
Prima di offrire una convincente possibile soluzione, Pagliaro analizza come si sia arrivati alla situazione attuale. Il punto di partenza, a suo giudizio, risale al 2006 quando Time decide che il personaggio dell’anno è «You», cioè ognuno di noi in quanto, grazie al web, sarebbe padrone delle notizie e animerebbe la democrazia digitale: «In quel momento — scrive Pagliaro — trasferendo la sovranità dai professionisti dell’informazione al popolo della rete e promuovendo Narciso a “Persona dell’anno”, Time ha inaugurato l’era della post-verità».
Come hanno reagito i media tradizionali? Male, anzi, malissimo. Hanno dimostrato di essere succubi sia dei contenuti che girano su siti, blog e social, sia della retorica di Internet. Che non è il regno della libertà. Nel libro lo dice Franco Bernabè che, avendo guidato aziende del calibro di Eni e Telecom, di potere e di economia ne sa qualcosa: il web ha padroni ricchissimi e potenti.
L’altro mito da sfatare è che «uno vale uno». Come nota l’antropologo Marino Niola, siamo ormai bipolari: da un lato dubitiamo di ogni esperto, dall’altro crediamo alla prima voce che registra un paio di «like». Ma anche qui i giornalisti hanno responsabilità enormi, perché troppe volte hanno rilanciato con clamore tesi non accreditate, per poi magari smentirle tempo dopo con una «breve» nascosta. Pagliaro non fa sconti alla sua categoria, colpevole spesso di superficialità, di farsi condizionare dall’ideologia, perfino manomissione delle parole come quando definiva «web tax» il tentativo di far pagare le giuste imposte ai giganti di internet, non a chi era connesso. Ma il vero problema, spiega Pagliaro, è un altro. Oggi «l’attenzione dei consumatori è il bene cruciale (e carente) del mercato». E mentre il buon giornalismo costa, «per catturare l’attenzione non serve approfondire, verificare, filtrare, sistematizzare. Spesso basta proporre un pensiero semplificato, non importa se labile o bugiardo».
Tralascio qui sia le numerose acute riflessioni di Pagliaro su come la politica si sia trasformata (in peggio), sia le altrettanto numerose analisi ricche di dati sui meccanismi di internet, per arrivare alla conclusione del libro. Pagliaro ricorda lo slogan lanciato in gennaio dal New York Times («La verità è difficile da trovare. Ma è più facile cercarla con mille giornalisti») e il caso del
Washington Post che nel 2013 perdeva 54 milioni di dollari l’anno e oggi è il secondo quotidiano Usa per numero di lettori. Il giornale è stato acquistato e salvato da Jeff Bezos, fondatore e ceo di Amazon, che tra l’altro ha assunto decine di giornalisti per garantire qualità nella versione digitale come in quella cartacea.
Dietro l’angolo c’è un rischio, ossia che la strada dell’informazione di massa e quella dell’informazione di «alta gamma» si separino, creando così un nuovo fattore di diseguaglianza. E minando la democrazia che, per vivere, ha bisogno di buona informazione. Varrebbe la pena discuterne, ma purtroppo il silenzio è assordante.