Il dolore di mamma e nonni, la visita delle amichette
Il padre dell’omicida: «Non ho niente da dire». La famiglia è rimasta nell’appartamento
TRENTO «Non ho niente da dire». Alberto Sorrentino si allontana allargando le braccia. Un gesto che ripete un paio di volte. Ha appena accompagnato a casa la nuora Sara Faiella insieme alla madre, sua consuocera. Cercano di sostenersi l’un l’altro per superare un altro giorno carico di dolore.
Un paio di occhiali da sole coprono gli occhi della giovane donna. Un dolore profondo e acuto affrontato con grande compostezza. Non vuole essere disturbata: digita un codice sul tastierino che si trova accanto alla porta in metallo che dal parcheggio del primo piano interrato conduce alle scale e all’ascensore dell’androne. La apre e vi si infila insieme alla suocera. Da lì saliranno fino al terzo piano, entrando nell’appartamento all’interno del quale Gabriele Sorrentino lunedì ha ucciso i suoi due figli prima di raggiungere l’hotel Panorama a Sardagna e gettarsi dal terrazzo che domina la vallata togliendosi la vita.
All’interno di quello stesso appartamento le aspetta la terza figlia di Gabriele e Sara, rientrata ieri notte da una gita con la scuola. Nel tardo pomeriggio raggiunge il civico 17 un gruppo di ragazzine. Suonano il campanello della famiglia Sorrentino-Failla ma nessuno apre. Allora telefonano e, a quel punto, il portone di vetro si apre. Entrano e con l’ascensore raggiungono il terzo piano, dove vengono accolte dall’amica e sua madre.
Lasciate le due donne, Sorrentino si allontana a piedi nella penobra del labirinto di cemento che si sviluppa sotto a Le Albere, attraverso il quale raggiungerà la rampa di scale della sua palazzina. Dentro alle quattro mura dell’appartamento in cui vive, da solo, dirimpetto a quello della famiglia del figlio, però è difficile rimanere. Così, di tanto in tanto, esce. Scarpe da ginnastica e un giubbottino smanicato. Sempre con in mano il cellulare, sul quale l’occhio gli cade di continuo. Va a comprare le sigarette, poi si siede da solo su una panchina al parco illuminato dal sole di fine marzo, non distante dall’area attrezzata con le altalene e gli scivoli in cui molti bambini giocano in compagnia dei genitori. Digita sulla tastiera del telefonino per rispondere a qualche messaggio e lì, coprendo il volto con le mani, cerca di nascondere gli occhi azzurro intenso e le lacrime. Rientrato in appartamento, esce solamente sul terrazzino per fumare e controllare se il carrozzone mediatico che da due giorni è stato allestito sotto casa sua, del figlio e della nuora è stato smantellato.