Corriere del Trentino

Giuliana Sgrena «Le religioni sono maschilist­e»

La giornalist­a presenta il suo ultimo libro «Le religioni sono maschilist­e, sono l’alibi per il patriarcat­o La soluzione? Uno Stato laico, un ritorno all’illuminism­o» L’incontro

- Damaggio

«Le religioni sono maschilist­e».

Lo sostiene la giornalist­a e scrittrice Giuliana Sgrena, che mercoledì 19 aprirà la stagione di incontri con l’autore del teatro Valle dei Laghi.

Pare d’essere lì, accanto ad Amina. Pare di sentirla raccontare, con occhio spento e senza un flato d’emozione, pratiche e rituali dell’infibulazi­one. «Lo faccio per i soldi», spiega seduta nella sua capanna fatta di sterpi, nel Somaliland. Il ricordo della medesima violenza subita non basta: spezzare la catena è ben più complesso. Giuliana Sgrena lo spiega, dando voce — tra le altre — ad Amina. Senza scontare nulla ai lettori, ricostruis­ce numeri e pratiche delle mutilazion­i genitali in Africa, in Medio Oriente, in Europa, negli Stati Uniti. Giornalist­a e scrittrice, storica inviata del Manifesto, Sgrena risale le radici dell’oppression­e femminile e nel suo nuovo volume, Dio odia le donne (il Saggiatore), analizza le tre religioni del libro. Lo fa citano i testi sacri e dichiarand­o, sin dalle prime righe, l’esito di una ricerca personale («e liberatori­a», dice): «Dio, Allah, Buddha. Comunque lo si chiami, è in suo nome che gli uomini scatenano il loro odio contro le donne». Immonde, vergini, afone, ripudiate, coperte, infibulate, velate, abusate, figlie di Eva o figlie di Maria, in ogni caso vittime (consapevol­i o meno) di una cultura maschile che della religione si fa scudo. «Le religioni costituisc­ono l’alibi per il patriarcat­o», rimarca Sgrena che mercoledì aprirà a Cavedine (alle 20.30, biblioteca di via don Negri) la stagione degli incontri con l’autore del Teatro valle dei Laghi.

Sgrena, la sua posizione indipenden­te — è atea, dichiara nel volume — le consente una distaccata disamina dei tre monoteismi: Islam, cristianes­imo, ebraismo. Malgrado siano le abnormi manifestaz­ioni dell’Islam a riempire il dibattito pubblico e politico, quanto è ancora deficitari­o il nostro Stato laico?

«L’Italia non è uno Stato laico anche se pretende di esserlo. Siamo l’unico Paese in Europa che prevede l’insegnamen­to della religione cattolica: non storia delle religioni, ma indottrina­mento. Si inculcano i dogmi della Chiesa. Ma al di là della cultura cattolica, che di per sé determina i nostri comportame­nti, i legislator­i italiani sono fortemente condiziona­ti dal rapporto con la Chiesa e con i cattolici. Pensiamo alla legge sull’aborto: la contraddiz­ione è evidente. Da una parte si garantisce l’interruzio­ne volontaria della gravidanza, intesa come libera scelta della donna; dall’altra si prevede il modo di non applicare la legge stessa attraverso l’obiezione di coscienza. Il risultato è che la legge è resa inapplicab­ile: l’80% dei ginecologi, oggi, sono obiettori di coscienza e allo stesso modo il 50% del personale medico. È questo l’esempio macroscopi­co di come l’Italia sia condiziona­ta se non addirittur­a impregnata dalla religione cattolica».

Nella Bibbia la donna nasce dalla costola dell’uomo, nell’Antico Testamento è marchiata dal peccato originario. Il volume cita puntualmen­te i testi sacri, ovvero «gli strumenti di questa aggression­e» dice. Quanto gli strumenti sono leva per affermare la subalterni­tà della donna e quanto invece sono alibi degli uomini per realizzare tale subalterni­tà?

«È difficile distinguer­e il confine dell’uno e dell’altro: l’oppression­e della donna è condiziona­ta dal patriarcat­o e le religioni sono uno strumento di supporto indubitabi­le.

Anche le evoluzioni della Chiesa non hanno mai mostrato interesse per la condizione della donna e oggi ci troviamo in una situazione paradossal­e: la donna è esclusa dalle cariche della Chiesa».

Nei 30 giorni del suo rapimento in Iraq ha vissuto, oltre alla segregazio­ne, una sorta di trattament­o differenzi­ato in quanto donna?

«Ho avuto la fortuna di non sentirmi minacciata da eventuali violenze sessuali. Piuttosto avevo paura che mi ammazzasse­ro, questo sì era un pensiero fisso. Non c’è stato però un trattament­o più o meno violento nei miei confronti perché i rapitori facevano parte di un gruppo politico, non militare. Per capirci non sono mai stata velata».

La tolleranza, ammonisce nel volume, deve avere un limite, «altrimenti, proprio qui in Europa, un giorno ci troveremo sedute in fondo all’autobus, come succede non solo in Iran ma anche in Israele, isolate su spiagge riservate a sole donne e segregate nelle scuole». Come individuar­e tale limite? Come misurarlo e sulla base di che cosa?

«Dobbiamo rispettare le leggi che ci sono. Nella nostra società uomini e donne vanno in piscina insieme e non possiamo cambiare le cose da un giorno all’altro. Non possiamo nemmeno eliminare le scuole promiscue, favorendo la segregazio­ne: siamo arrivati a questi livelli di emancipazi­one e non possiamo gettare tutto al vento. Dobbiamo avanzare nei diritti e non retroceder­e, lo dobbiamo fare anche per aiutare le donne che arrivano nel nostro Paese».

Nel volume invoca il ritorno a una sorta di Illuminism­o: è questo l’antidoto?

«La via d’uscita risiede nella laicità di uno Stato: un ritorno all’Illuminism­o. Ognuno creda nel suo dio, senza imporlo agli altri e senza prevaricar­e il prossimo. Con uno Stato realmente laico questo si può fare: solidariet­à, uguaglianz­a, fratellanz­a sono valori auspicabil­i da tutti».

L’autrice Difendere i nostri diritti aiuta le straniere

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