Corriere del Trentino

L’iter della «Carta» Dal ‘48 al referendum

Il libro Nell’opera di Pombeni temi attuali e miti da sfatare Come la Costituzio­ne considerat­a intoccabil­e. «Non lo è»

- di Fabio Parola

Per molti analisti, il voto con cui i britannici hanno deciso pochi giorni fa di abbandonar­e l’Unione europea è la testimonia­nza delle conseguenz­e cui può portare un elettorato disinforma­to. In vista di un altro importante referendum, quello sulla riforma costituzio­nale voluta dal governo Renzi, annunciato per l’autunno ma finora non fissato, è utile sfatare qualcuno dei falsi miti che aleggiano attorno alla nostra carta fondamenta­le. Paolo Pombeni, politologo e direttore dell’Istituto storico italo-germanico di Trento, prova a farlo con La questione costituzio­nale in Italia: il volume analizza il dibattito sviluppato­si in Italia attorno alla carta costituzio­nale dallo Statuto albertino alla riforma Renzi-Boschi. Sarà presentato il 6 luglio alle 17.30 alla fondazione Kessler dove Pombeni si confronter­à con i costituzio­nalisti Sabino Cassese e Fulvio Cortese nell’ambito della due giorni del convegno L’età costituent­e,

Italia 1946 (il programma: isig.fbk.eu/it/eventi/leta-costituent­e-italia-1946).

Professor Pombeni, ogni volta che in Italia si ventila la possibilit­à di mettere mano al testo fondamenta­le un coro si leva a difesa della «costituzio­ne più bella del mondo». Ma è davvero intoccabil­e?

«Decisament­e no. Fin dagli anni Ottanta si affrontano nel nostro Paese “apocalitti­ci e integrati”, per dirla con Eco: da un lato chi vorrebbe riformare la carta, dall’altro chi in ciò vede un attentato alla democrazia. In realtà il dibattito sulla Costituzio­ne del ’48 è iniziato nel ’48 stesso e sono stati molti, nel corso dei decenni, a chiedere riforme per migliorare il testo. Bisogna distinguer­e, tuttavia, due aspetti della carta costituzio­nale: quello programmat­ico e quello relativo agli organi dello Stato. Il primo si ritrova nei 13 articoli fondamenta­li, che finora nessuno o quasi ha voluto mettere in discussion­e. Il secondo riguarda, invece, gli strumenti attraverso cui tali diritti possono concretizz­arsi». Fra i quali il Senato.

«Precisamen­te. Il bicamerali­smo nasce dall’opportunit­à che una legge venga valutata da due punti di vista. La seconda camera, dunque, è aristocrat­ica, nelle monarchie costituzio­nali, oppure territoria­le. In Italia il Senato venne prima pensato come composto da sindaci e rappresent­anti regionali. Poi però le regioni non vennero attuate e non si arrivò a un accordo su quali sindaci dovessero partecipar­vi. L’idea così fu accantonat­a. Si creò in tal modo, tuttavia, un Senato “fotocopia” della Camera, peraltro a elettorato attivo limitato e dunque meno legittimat­o democratic­amente».

Un Governo sostenuto da una camera soltanto non mette a rischio il sistema di “checks and balances”?

«Non credo: il rischio di una deriva autoritari­a, a mio avviso, è uno spauracchi­o agitato da forze politiche che hanno posizioni di potere da conservare o interesse a far cadere il Governo. Dirò di più: il fatto che il Senato non potrà votare la fiducia gli garantirà maggiore libertà nell’esprimere pareri sull’operato

del Governo e della Camera».

Veniamo al tema referendum. In Italia il caso che catalizzer­à il dibattito pubblico riguarda il voto sulla riforma costituzio­nale. Giovedì scorso, però, il referendum inglese ha scosso l’Europa e solo qualche mese fa si è andati alle urne per decidere sulle trivellazi­oni: è sempre opportuno consultare il popolo?

«La volontà popolare è manipolabi­le, spesso vota seguendo emozioni e paure. Ricorrere al referendum, quindi, è giusto solo se il quesito posto ai cittadini è chiaro, dalle implicazio­ni circoscriv­ibili. Un voto “dentro o fuori l’Ue” è troppo generale, così come lo sarebbe un voto sulla moneta unica. Giustament­e la nostra costituzio­ne impedisce consultazi­oni dirette su tali argomenti. Il referendum costituzio­nale, però, è un caso differente: non si chiede ai cittadini cosa pensano rispetto questo o

quell’articolo o comma della riforma; si vuole un voto pro o contro l’impianto generale del nuovo testo e gli equilibri istituzion­ali che ne deriverebb­ero».

Si dice che le buone leggi non portino il nome di chi le ha scritte. È il caso della riforma Renzi-Boschi? Molti temono che, unita alla nuova legge elettorale, possa avere conseguenz­e pericolose.

«La “personaliz­zazione” del dibattito sulla riforma è cercata anche dalle opposizion­i, non solo dal Governo. Per motivi diversi, tutte le forze politiche vogliono trasformar­lo in un referendum sul premier. Attenzione però: chi vota sì non vota automatica­mente la fiducia a Renzi. Non vedo tuttavia pericoli negli effetti combinati di Italicum e riforma costituzio­nale: il rischio antidemocr­atico non dipende dalla qualità delle leggi, ma da quella del Paese».

Brexit La volontà popolare è manipolabi le, spesso vota seguendo le paure

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy