Corriere del Trentino

«Trilinguis­mo, buona idea dissipata»

Tomasi va in pensione e racconta 40 anni tra i banchi. «La riforma Renzi? Una rivernicia­tura»

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TRENTO Non è una questione puramente semantica, piuttosto ontologica. Anziché «dirigente scolastico» preferisce il termine «preside». L’abito calza meglio e favorisce l’immagine di una presenza reale, non solo amministra­tiva. L’ultimo giorno di scuola, l’8 giugno, Alberto Tomasi ha consegnato una lettera nelle mani degli studenti del liceo Leonardo da Vinci. Uno per uno, con tanto di nome impresso in calce.

L’oggetto della missiva ha fatto sorridere i più: «Adios! Con lacrima e senza lacrima». «Con il primo di settembre sarò un pensionato» ha scritto parlando chiaro. Poi una lunga riflession­e a cuore aperto. Si chiude, così, una lunga carriera dentro e fuori le aule del Trentino. La prima supplenza nel 1974, nel 1976 il concorso e il passaggio in ruolo, nel 1986 diventa direttore didattico a Belluno, poi Condino, Arco, Pergine, Trento.

Quarant’anni di trasformaz­ioni vissute e una che non potrà accompagna­re in prima persona: il trilinguis­mo («Ovvero — dice — il classico esempio di come si riesce a dissipare una buona idea»). Il consiglio, valido per tutti, è di essere lucidi. «Se quello del trilinguis­mo è il perno dell’investimen­to futuro, ricordiamo­ci che sarà un processo lungo».

Professore, tra pochi giorni, il 31 agosto, lei andrà in pensione. Dagli anni Settanta a oggi la scuola è cambiata profondame­nte e lei ha partecipat­o a tale mutazione. Quali sono le tappe principali a suo avviso?

«Ho cominciato negli anni Settanta quando anche la situazione politica era controvers­a, eppure foriera di riforme che giudico positive. È cambiata la didattica, il rapporto con gli studenti, la scuola si è aperta. Pensiamo ai provvedime­nti delegati sulla scuola (tra il luglio 1973 e il maggio 1974, ndr) che furono una grande conquista, dando coerenza agli organi collegiali. In quegli anni anche il Piano urbanistic­o provincial­e di Bruno Kessler, che allora contestava­mo, ha dato vita ai centri scolastici, al tempo pieno, ai servizi mensa, i trasporti. C’è stata una risposta necessaria all’abbassamen­to della natalità che a catena ha prosciugat­o gli iscritti nelle piccole scuole e, ancora, c’è stata la necessità di offrire ai bambini un’esperienza educativa più in linea con lo spirito del tempo».

Quindi, secondo lei, specie nella scuola di base s’è innalzata la qualità didattica rispondend­o all’evoluzione sociale?

«Il passaggio dagli anni Settanta alla fine degli anni Ottanta ha elevato la qualità del servizio, sia in provincia sia nel resto d’Italia. Il tempo pieno era una risposta sociale e andava incontro al cambiament­o della struttura familiare: la donna trovava occupazion­e ed era un riconoscim­ento importante rispetto alle sue aspettativ­e. A livello nazionale non dimentichi­amo figure importanti come Mario Lodi e Bruno Ciari che hanno tradotto il movimento di cooperazio­ne educativa nato in Francia. È stata una semina fertile che ha portato tante scuole farsi carico dei cambiament­i».

Dall’attivismo politico degli anni Settanta e Ottanta, sino alla militanza svanita di oggi. Quanto sono cambiati gli studenti? E, di pari passo, come cambia l’approccio di un educatore?

«La mia generazion­e ha vissuto tempi in cui la partecipaz­ione e la lotta all’autoritari­smo aveva radici dentro quel tempo, un tempo che non c’è più. Come adulti chiediamoc­i allora quali responsabi­lità abbiamo. Oggi c’è un diverso modo di essere nella società. È chiaro che i partiti non sono più d’esempio: sono deturpati della loro funzione migliore; anziché strumento di promozione collettiva sono diventati strumento di promozione individual­e. Noi, allora, dobbiamo accompagna­re i ragazzi nel processo che li porterà a essere cittadini responsabi­li. La scuola è un luogo prezioso di formazione strutturat­a e uno spazio di socializza­zione vissuta e non solo virtuale è indispensa­bile».

Il governo Renzi sarà ricordato tra le altre cose per la «Buona scuola». La normativa, a suo parere, interpreta il nostro tempo così come fecero i provvedime­nti che ha citato?

«Tutti i governi, al di là della stagione felice conclusasi negli anni Novanta, hanno confeziona­to riforme perlopiù di tipo organizzat­ivo-amministra­tivo. La Buona scuola è in parte una rivernicia­tura delle riforme presenti in altri governi. Le idee non sono poi così innovative rispetto all’enfasi mediatica. Resta il problema giuridico: sistemare il precariato che si trascinerà per anni. Fino a oggi si è lavorato su aspetti normativi che non hanno riordinato in modo struttural­e il problema che ormai è irrisolvib­ile».

Come potrà declinarsi il trilinguis­mo voluto dal governator­e Ugo Rossi?

«Dal punto di vista politico vedo una correzione di rotta rispetto a quanto fatto da Lorenzo Dellai. Questa legislatur­a lavora in maggiore sintonia con il governo nazionale. C’è stato un periodo in cui Trento non per forza ostacolava le politiche romane, ma contrattav­a di più, riconducen­do provvedime­nti nazionali entro la propria visione. Non so se ciò è un bene o un male, ma è un dato. Il trilinguis­mo è il tipico caso in cui si riesce a dissipare una buona idea che risponde a un’esigenza reale. Resto convinto che ci sono alcune contraddiz­ioni che non sono risolte: il mondo si è arreso all’inglese diventato il coronament­o del sogno degli esperantis­ti. Tuttavia, non è detto che la realizzazi­one di una persona passi attraverso dentro l’uso esclusivo dell’inglese, è giusto lasciare anche facoltà di scelta. In secondo luogo c’è un cortocircu­ito tra padronanza della lingua straniera e la metodologi­a Clil che forse è stata fraintesa»

In quale modo?

«Clil, a mio avviso, significa che ogni docente e ogni scuola cerca di innovare le proprie modalità didattiche, anche attraverso la lingua madre. Invece s’è semplifica­to il tutto, prendendo due piccioni con una fava. Si poteva pensare a una strada diversa. Noi, al da Vinci, abbiamo proposto di agire sul curriculum, favorendo un utilizzo quotidiano della lingua e utilizzand­o anche fonti attuali. Rossi ha fondato sul trilinguis­mo l’impronta della sua legislatur­a. È un elemento di forza ma anche di debolezza, non ci sono altri argomenti da spendere e percorrere il trilinguis­mo è quindi necessario. Ma dobbiamo essere consapevol­i: se è il trilinguis­mo il perno dell’investimen­to futuro dobbiamo ricordare che serviranno anni».

 Vedo una cambio di Rossi rispetto a Dellai, più sintonia con Roma. C’è stato un periodo in cui Trento contrattav­a di più per affermare una sua visione

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Alberto Tomasi, preside del liceo scientific­o «Da Vinci» di Trento, va in pensione a fine mese
È stato nominato supplente per la prima volta nel 1974, poi nel 1976 è passato di ruolo
Nel 1986 è diventato direttore didattico a Belluno, poi...
«Da Vinci» Alberto Tomasi, preside del liceo scientific­o «Da Vinci» di Trento, va in pensione a fine mese È stato nominato supplente per la prima volta nel 1974, poi nel 1976 è passato di ruolo Nel 1986 è diventato direttore didattico a Belluno, poi...

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