Il maestro con la European Union youth orchestra Noseda legge Mahler «Sinfonia al contrario»
Da ieri pomeriggio Gianandrea Noseda sta rivisitando insieme alla European Union youth orchestra (Euyo) alcune ouverture e arie verdiane e la Quinta di Gustav Mahler. Per quale esibizione? L’attesissimo concerto di venerdì sera inscritto nel Bolzano Festival Bozen 2015 di Peter Paul Kainrath: l’appuntamento è al Teatro comunale del capoluogo altoatesino alle 20.30 con il soprano Erika Grimaldi. Non saranno fino ad allora prove con un’architettura già disegnata. Noseda incontrerà i giovani musicisti del prestigioso complesso internazionale nel segno della capacità d’ascolto. Si legge subito nel suo metodo il riferimento a Claudio Abbado, demiurgo proprio della Euyo come a Renzetti, Chung e Gergiev che Noseda considera i suoi maestri. «Si tratta — chiosa il direttore — di trovare il proprio spazio in un’orchestra, all’interno di un determinato momento musicale».
Maestro, reduce da grandi successi a Salisburgo, affronta a Bolzano la Quinta di Mahler. Con quale spirito?
«La Quinta sinfonia, come le altre mahleriane, rappresenta un viaggio. Ci troviamo tutti i sentimenti dell’animo umano dalla marcia funebre iniziale (con elementi di consolazione) al secondo movimento tempestoso ( un approccio molto agnostico) al difficilissimo terzo movimento fino all’adagietto (aggiunto più tardi dal compositore, in pratica una lettera d’amore) e al finale, con tutta la positività di una grande speranza verso il futuro».
Quasi una sinfonia al contrario?
«Esattamente. La marcia funebre è all’inizio, per poi arrivare alla pace pacificatoria. Un percorso molto affascinante, simbolico.
Lei ci arriverà dopo una prima parte del programma nel segno di Verdi. Perché?
«Abbiamo scelto brani da Luisa Miller e dai Masnadieri perché si ispirano ai drammi di Schiller; c’è un elemento germanico che apparenta queste pagine a Mahler. Verdi si era ispirato alla grande cultura tedesca. Mi fa piacere proporre un programma come questo in una terra dove c’è una somma di culture, una vera ricchezza».
La figura del direttore d’orchestra ha ufficialmente poco più di un secolo di vita. Di questa figura c’è ancora bisogno?
«I professori d’orchestra sono musicisti di altissimo livello e ognuno di loro ha un’idea riguardo al brano musicale che sta eseguendo: il compito del direttore è trovare, guardando alla partitura, una via affinché tutti si sentano on board, si mettano alla prova secondo questa visione. Che non è necessariamente la migliore, ma semplicemente ciò che il direttore ha colto. Insomma, l’orchestra si aspetta da un direttore che abbia una visione da condividere».
Dal 1977 Voyager 1 e 2 stanno portando nello spazio un disco con una selezione di musiche terrestri. Lei quali avrebbe scelto?
«Come esemplificazione di scrittura musicale sulla Terra un madrigale, meglio se di Monteverdi, la Passione di Bach, un movimento di una sinfonia di Beethoven, un’aria di Verdi, un po’ di jazz degli anni Trenta e un po’ di pop music dei Sessanta».