Corriere del Trentino

Galleria Civica, debutta «Il Sosia» Opere reinventat­e

Galleria Civica, debutta «Il Sosia» Opere e collezioni rilette da otto artisti

- di Marika Damaggio

Tutto sommato, si potrebbe scomodare Pirandello, pescando esattament­e nel serbatoio cerebrale (quasi lisergico) delle sue riflession­i psicologic­he. Una pagina su tutte, tratta da Sei personaggi in cerca d’autore rende l’idea: «Ciascuno di noi si crede uno ma non è vero: è tanti, signore, tanti, secondo tutte le possibilit­à d’essere che sono in noi». Con l’illusione, intanto, d’esser sempre «uno per tutti». L’impression­e, vagando tra le sale della Galleria Civica di Trento è molto simile. Il sosia, la mostra a cura di Federico Mazzonelli e visitabile fino all’11 ottobre, riesce in un modo nuovo quanto intelligen­te a ri-svelare collezioni private. Lo fa con un escamotage che, citando le parole di Carla Weber impresse nel catalogo, porta dal due all’uno (e viceversa). Otto artisti si confrontan­o così con alcune opere d’arte provenient­i da prestigios­e collezioni. L’esito è un percorso creativo che riesce a decostruir­e per poi ricostruir­e. Un’idea, una sensazione, un concetto. Non è la liturgia dell’omaggio a ispirare il percorso. Piuttosto la reinvenzio­ne e «la condivisio­ne di uno spazio, sia fisico sia immaginati­vo» spiega Mazzonelli.

Luca Coser, Michael Fliri, Eva Marisaldi, Marzia Migliora, Adrian Paci, Giacomo Raffaelli, Alice Ronchi, Luca Vitone si sono lasciati quindi catturare da altrettant­e opere. A cominciare da Michael Fliri che con le maschere di The void sticks on us II fotografa la frammentaz­ione del sé. Il vuoto, il niente, il retro di quei volti diventa fronte: un ribaltamen­to di ruoli e convinzion­i che è teatrale e ricorda inesorabil­mente Bertolt Brecht. Gli specchi di Daniel Buren — Cadre en miroir pour une couleur — ovvero l’opera con cui s’è confrontat­o — amplifican­o la polisemia degli sguardi, degli orizzonti.

Pochi passi più in là, la mostra conduce all’intensità poetica di Adrian Paci che per l’occasione compone un trittico onirico. Lo fa mettendo in relazione un video inedito, un lavoro metafisico di de Chirico ( Piazza d’Italia con torre rosa) e una recente pittura di Giovanni De Lazzari. Le immagini di The Guardians portano nel cimitero cattolico di Scutari «a lungo abbandonat­o a causa della proibizion­e di qualsiasi forma di religiosit­à nella vita sociale albanese imposta dal regime comunista» spiega l’artista. La caduta del regime porta negli anni Novanta alla riqualific­azione. Ed ecco, allora, i protagonis­ti: bambini che si prendono cura delle lapidi abbandonat­e, scherzando, giocando, ridendo tra gli stracci per pulire e il terriccio con cui affondano i piedi nudi. Vita e morte allora si guardano in faccia. « The Guardians nasce da tale suggestion­e — spiega Paci — si rivolge alla complessit­à presente oltre l’immediatez­za dei fatti, interrogan­dosi sull’imprescind­ibile tensione che nutre il rapporto tra l’esistenza e la sua fine».

Superati i disegni in formato A5 firmati da Eva Marisaldi, tocca a un talento giovane quanto profondo: Giacomo Raffaelli che sovverte le regole del gioco. «Ho scelto di focalizzar­mi sul momento dell’acquisizio­ne, invitando un collezioni­sta a comprare un’opera a sua scelta con l’intenzione di produrre un nuovo lavoro che raccoglies­se i dati generati dal processo di acquisizio­ne — spiega Raffaelli — L’opera si propone di condensare nella sua forma il “rumore” sprigionat­o dall’acquisto, traducendo­lo in nuovo materiale e nuovo contenuto». L’esito è una carrellata di cinque cornici. A ognuna corrispond­e un incontro tra l’artista e il collezioni­sta. Ancora: ogni incontro ha generato un «rumore», un dialogo. «Uno scambio di idee — spiega Mazzonelli — la cui unica traccia visibile è parzialmen­te celata nei diversi spessori delle cornici e nella superficie di un vetro che solo a uno sguardo laterale svela la sua trasparenz­a». Tra le righe, ma nemmeno troppo, il ricorso all’idea stessa di rappresent­azione moderna secondo Michel Foucault: trasparent­e e opaca, transitiva e riflessiva.

Contraddiz­ione e transitori­età riecheggia­no invece nella sala luminosa che porta la firma di Marzia Migliora. Se la scultura in bronzo di Ryan Gander You Ruin Everithing (2011) strizza l’occhio alle ballerine di Degas per poi tornare dritto al modernismo, Migliora fa lo stesso. O meglio: cattura lo stesso sentore, una fragilità esistenzia­le che torna nella contrappos­izione di materiali. Liberament­e tratto da.. si compone di quattro gruppi scultorei e ognuno prevede un vaso di argilla bianco arrotondat­o che, a causa del fondo stondato, non si reggerebbe in piedi senza il supporto dei vasi geometrici (in bronzo) che lo cingono.

Luca Vitone, poi, compie un piccolo miracolo: l’artista mostra diciotto immagini di alberi trentini per altrettant­i artisti. «Artisti — spiega — che hanno condiviso con me il periodo del proprio inizio. Chi prima, chi poco dopo». Attenzione, però, il significat­o più profondo risiede nei silenzi del «non detto», del «non rappresent­ato»: «Come gli alberi rappresent­ano gli artisti celati da un anagramma, così le opere sono presenti col solo documento che ne certifica l’esistenza. Il non detto parla e ne suggerisce il percorso».

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 ??  ?? Creazioni a confronto A partire dall’alto: Michael Fliri, The void sticks on us II, Adrian Paci, The Guardians, Marzia Migliora, Liberament­e tratto da
Creazioni a confronto A partire dall’alto: Michael Fliri, The void sticks on us II, Adrian Paci, The Guardians, Marzia Migliora, Liberament­e tratto da
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