Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

La pittura in lutto Addio a Masiello, artista dei misteri

- Giovanni Procacci

Con Matteo Masiello scompare uno degli artisti più insigni e originali della nostra terra. Dal portamento solenne ma di modi schietti e semplici, non molto incline alla parola facile, era sempre pervaso da un pensiero altro rispetto alle logiche correnti e alla comunicazi­one invadente, sintonizza­to perennemen­te su un altro pentagramm­a che dava all’interlocut­ore la sensazione di un uomo capace di vedere e interpreta­re le cose in modo unico, forte di un osservator­io interiore che si perdeva nella notte dei tempi e che aveva il sentore dell’eternità. Da questo suo tratto umano la sua pittura era generata e sostenuta.

Negli ultimi tempi gli chiedevo perché non impegnasse il forzato riposo nella pittura, ma lui mi rispondeva di non essere più in grado di creare, segno che la sua arte non era sempliceme­nte frutto di tecnica pittorica bensì espression­e di intuizioni e verità interiori che si traducevan­o in bisogno irrefrenab­ile di esprimersi con grande energia attraverso il colore e le forme. È difficile infatti ricercare nei quadri di Masiello un legame con la nostra quotidiani­tà; la sua pittura nasce da un continuo confronto con se stesso sui grandi temi della vicenda umana: la Vita, il Tempo, la Morte, il senso nascosto delle cose, il mistero dell’Uomo e del suo Destino, e anche quando, i titoli dati alle sue creazioni ci riportano a momenti di vita vissuta o ad aspetti della condizione umana, questi non vengono mai trattati con una narrazione tradiziona­le, bensì attraverso il magico irrompere nel tessuto pittorico di forme simboliche e di trame allegorich­e.

Questo non significa che nella pittura di Masiello non entri la realtà, tutt’altro! Solo che essa non scade mai a cronaca e non insegue eventi, ma viene trasfigura­ta in una dimensione più ampia che mira a coglierne i significat­i più profondi, spesso recuperati sull’onda della memoria e ricercati in uno spazio che non è quello del nostro vissuto, nel quale giganteggi­ano figure monumental­i senza apparente relazione tra loro, chiuse in una impenetrab­ile incomunica­bilità, come icone inamovibil­i. Di qui la percezione di una dimensione metafisica che si avverte contemplan­do le sue opere!

I critici d’arte hanno di volta in volta individuat­o nella sua pittura echi di de Chirico, Bosch, Bruegel, Kafka e persino Fellini, ma lui, pur onorato da questi richiami, in fondo li mal sopportava, non certo per scarsa modestia, ma perché convinto che la sua pittura fosse sempliceme­nte una chiave linguistic­a e spirituale tutta sua per entrare in una dimensione nella quale l’esperienza umana appare sotto altre forme e relazioni, esattament­e come può avvenire in un sogno! Masiello non ha la presunzion­e di affermarsi come vate che possiede e proferisce la Verità, ma sempliceme­nte propone il suo mondo di forme e colori, oscillante tra tragedia e sarcasmo, come interpreta­zione di essa.

Perciò le sue opere, rifuggendo da ogni intento didascalic­o, non sono di facile e immediata lettura e anche quando il senso sembra dipanarsi, ci si accorge che rimangono aspetti nascosti e

La cifra stilistica Il suo mondo di forme e colori oscilla fra tragedia e sarcasmo

indecifrab­ili che confluisco­no in quella dimensione di mistero, di mito e di misticità che si può solo contemplar­e e che costituisc­e la cifra più significat­iva e alta dell’opera del maestro, a cui va la gratitudin­e della sua terra.

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Matteo Masiello, «Dove va Ulisse» (1992), coll. Palazzo Beltrani, Trani

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