Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
L’allarme del Presidente per il «divario» che cresce
Il 13 settembre 1972, il Corriere della Sera pubblicava un Rapporto del ministero del Bilancio, a firma di Pasquale Saraceno — illustre meridionalista di origini valtellinesi — in cui si preconizzava che il divario tra Nord e Sud sarebbe stato colmato soltanto nel 2020. L’anno fatidico è giunto proprio ieri, e, come ha opportunamente sottolineato nel suo tradizionale discorso del 31 dicembre il
Capo dello Stato, poco meno di mezzo secolo dopo da quell’auspicio non solo la forbice tra le due Italie non si è chiusa ma paradossalmente si sta ulteriormente allargando. Nei pochi ma incisivi concetti che Sergio Mattarella ha voluto mandare a Capodanno l’acuirsi della spaccatura tra Nord e Sud ha un posto preminente. E siccome il Presidente della Repubblica non sceglie le parole a caso, il fatto che ci sia tornato con altrettanta determinazione solo pochi mesi dopo la requisitoria che lanciò all’assemblea dei Comuni, vuol dire una cosa sola: che si rende perfettamente conto come il Mezzogiorno amplifichi il malessere economico e sociale di tutto il Paese, per cui, senza il rilancio del Sud, rischino di esplodere le contraddizioni dell’Azienda Italia nel suo complesso. Quest’ultimo concetto, espresso dal Capo dello Stato, è frutto del radicato convincimento che le economie del settentrione e del meridione siano fortemente interdipendenti l’una dall’altra. E dunque se il Mezzogiorno soffre, anche la parte più sviluppata non ride, e anzi ne paga gli effetti in termini di minore crescita. Mattarella ha messo l’accento altresì sul ruolo geopolitico dell’Italia, protesa nel Mediterraneo, con un evidente riferimento alla possibile funzione di raccordo che, in particolare con i paesi rivieraschi del Nord Africa e del Medioriente, potrebbe avere proprio il Sud, per la sua naturale collocazione geografica. Un’opportunità che finora i diversi governi che si sono succeduti, di qualsiasi colore e natura, hanno sempre trascurato. Il futuro dei territori meridionali, lancia un monito il Presidente della Repubblica, passa soprattutto, oggi più che mai, attraverso le Università, i centri di ricerca, le istituzioni culturali, come ha dimostrato nel 2019 l’exploit di Matera
Capitale europea, che ha fatto onore all’intero Mezzogiorno.
Il Presidente della Repubblica affronta la tematica meridionalistica anche da un altro versante, che probabilmente lo angoscia maggiormente: le forti diseguaglianze che permangono tra aree diverse, alcune gravi crisi aziendali, l’esigenza di rilanciare il sistema produttivo per creare quel lavoro che oggi manca per tanti. A partire dai giovani, sui quali bisogna investire, in particolare dar loro fiducia, anche per evitare l’esodo verso l’estero, lo spopolamento del Mezzogiorno, l’invecchiamento del Paese. Come? Offrendo loro opportunità di occupazione correttamente retribuite.
C’è un fil rouge che si snoda per tutto il bel messaggio di fine 2019 del Presidente della Repubblica, quello della positività, delle buone pratiche, delle virtù del Paese, in definitiva della solidarietà e della fiducia. Quando dice, senza esitazioni, che l’Italia vera è quella dell’altruismo e del dovere, evoca quella coesione sociale e quell’unità nazionale che permeano il suo intero discorso. Senza intromettersi nelle scelte dei governi, in particolare degli ultimi due a guida Conte, Mattarella fa chiaramente intendere che ogni forma di autonomia differenziata deve comunque rispettare quel bene primario che è l’unità del Paese, valore incommensurabile posto dalla Carta Costituzionale scritta all’indomani della guerra. Nell’Italia che entra nel 2020, lacerata da conflitti verbali, aggressività, prepotenze, meschinità, lacerazioni delle regole della convivenza civile, ricreare una cultura della responsabilità, del rispetto reciproco, in una parola della solidarietà, riempie di speranza per il futuro i cuori e le menti di tutti noi.