Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Caccavale e l’arte di dipingere le poesie di Mandel’stam
Sulle pareti della galleria Doppelgaenger di Bari i carmi del poeta russo Osip Mandel’stam
La formula «Ut pictura poesis» del poeta Orazio che autorizzava il crossover tra pittura e poesia, tale che la prima poteva considerarsi poesia muta e la seconda, al contrario, pittura parlante, applicata ai lavori di Giuseppe Caccavale, risulta esaltata. Nel caso dei suoi Carmi Figurati, espansi sull’intonaco della galleria Doppelgaenger, l’incrocio tra le due forme espressive si apre a più complesse letture. Si tratta di un impegnativo progetto curato da Chiara Bertola, pensato per il luogo e per accogliere figure e parole della Conversazione che il poeta russo Osip Mandel’stam ha dedicato a Dante, scritta negli anni trenta e pubblicata in Russia solo nel 1967.
Un incontro tra titani, il fiorentino e il russo (1891-1938), postsimbolista, maltrattato da Stalin al punto da essere deportato, con una vita da esule in comune con il divino italiano che amava visceralmente e considerava: «il più vigoroso direttore d’orchestra […] d’una composizione poetica che esiste unicamente sotto forma di flussi di onde, di imad pennate e bordeggi». Su queste metafore gioca anche Caccavale, letterale nel tradurre le sollecitazioni sinestetiche del poeta russo con parole dipinte che si muovono come domate maree, perimetrando l’immagine e divenendo esse stesse ulteriori sagome. Correnti di scrittura, italiana e cirillica a generare intrecci e passaggi tra discipline, di una forza installativa in grado di superare la bidimensionalità oggettiva delle pareti dipinte per farsi atmosfera, come «un palato celeste», dice l’autore. Con la complicità di uno spiazzante e immersivo blu ceruleo, sfondo sia per parole diventate oggetti, suggerisce la curatrice, e sia per fotografie scattate dall’autore in Armenia. Terra ieratica per antonomasia, votata antiche devozioni, qui a fare da spalla alle figure disegnate a pastello grasso, mani, occhi, volti, ispirate dall’opera dei monaci benedettini, dei pittori fiamminghi e di artisti come Rabano Mauro e Opicino de Canistris. Completano il progetto altre parole disegnate ma in più regolari andamenti, poesie del ciclo «Ottave», sempre di Mandel’stam, sistemate sul registro inferiore e lasciate nel composto schema ritmico previsto dai componimenti.
Sorretto dai due poeti, entrambi esuli, Caccavale esprime anche la sua esperienza itinerante: napoletano, domiciliato a Bari, cresciuto professionalmente tra Francia e Belgio e ora docente all’ Ècole Nationale Superieure des Arts Décoratifs di Parigi. Da una produzione più orientata alla figura, il suo lavoro si è spostato su un fronte che contempla continui slittamenti tra immagine e parola, traversate tra linguaggi espressivi in un tempo circolare dove l’antico trova nuove sponde di senso. Ne sono testimonianza il recupero di tecniche obsolete come l’affresco e il mosaico, la ripresa di stilemi giotteschi, il procedere da amanuense o i riferimenti ai codici miniati. La parola dei poeti, stratificata e insieme stringata, lo impegna in un costante lavoro di interpretazione applicato a partiture contemporanee che uniscono i fili della storia. In tempo di virtualità in cui «scripta non manet», Caccavalle obbliga a guardare la parola, permanentemente impressa nel muro e metaforicamente ingigantita per evidenziarne la forza. E se ci sono di mezzo poeti come Dante, l’invito dell’artista è chiaro: «Diamo disegno alle parole per incontrare di nuovo Dante. Non in Inferno, non in Purgatorio, non in Paradiso... a casa».