Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Voci dall’Africa fino alla Puglia targate Morleo
Non è una novità l’interesse di Luigi Morleo per il dialogo interculturale e i conflitti prodotti dalla globalizzazione. Così non stupisce ritrovarlo impegnato oggi nelle sonorità di Migranti 2.0, lavoro tanto significativo nelle sue premesse quanto bello sul piano musicale.
di Fabrizio Versienti
Non è una novità l’interesse di Luigi Morleo per il dialogo interculturale e i conflitti prodotti dalla globalizzazione e dalle dinamiche postcoloniali. Il percussionista e compositore pugliese, docente al Conservatorio di Bari, ha già completato alcuni «cicli tematici» di lavori musicali intitolati ad esempio
Oltre la linea di fuoco e On Western Terror, trovando il modo di ibridare i linguaggi della musica contemporanea con il minimalismo, l’improvvisazione jazzistica, i ritmi salentini o quelli africani. Così, non stupisce ritrovarlo oggi impegnato su Migranti 2.0, un lavoro tanto significativo nelle sue premesse quanto affascinante sul piano musicale. Materiale di base in questo caso sono le melodie dell’Africa centro-occidentale, dal Burkina Faso al Senegal alla Nigeria: cinque tracce, altrettanti «imprinting» musicali presi dalla memoria viva di alcuni migranti residenti in Puglia e «aiutati» attivamente nel loro inserimento dall’attività della cooperativa sociale Medihospes. Non a caso il progetto e il disco che lo documenta, autoprodotto da Morleo, hanno molti sostegni istituzionali, dalla Regione Puglia al Conservatorio «Piccinni», da Medihospes appunto all’associazione Abusuan, che di interculturalità si occupa da tanti anni.
Migranti 2.0, che ha debuttato l’estate scorsa a Bari e al festival «Borgoinfesta» di Borgagne, mette insieme le voci (e i ricordi, le melodie «identitarie») di Thian El Hadgi Baba, Papi Diarra Abdoulaye, Mbengue Elhadji e Bambara Iliyass (nella
foto intorno a Morleo) con gli strumenti di quattro musicisti e docenti del conservatorio barese: il sassofono di Paolo Debenedetto, la fisarmonica di Francesco Palazzo, il basso tuba di Giuseppe Scarati e, ovviamente, le percussioni di Morleo, che si prende la responsabilità di «costruire» il dialogo musicale a partire dalle linee melodiche e dalle cellule ritmiche offerte «a memoria» dalle voci, spesso d’intonazione incerta e non temperata. Ma l’alchimia funziona, grazie all’infaticabile lavoro ritmico di Scarati e Morleo, al «respiro» modale della fisarmonica di Palazzo che fa da collante, al canto luminoso del sassofono di Debenedetto. Piacciono in particolare i due frammenti senegalesi, Dom e Foilange.