Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Mare Group sbarca in Borsa Il trionfo degli ex universitari
C’è sempre il «Mare» di mezzo ma in una zona di Napoli che non ti aspetti, quello dell’entroterra est, ad almeno 12 chilometri dalla costa, dove si trova il polo industriale di Pomigliano D’Arco e ha sede Mare Group, società di ingegneria digitale che opera in Italia e all’estero con oltre 300 dipendenti.
Si quoterà in Borsa il 24 maggio, diventando la ventiduesima società del Sud a Piazza Affari, su un totale di oltre 400. Mare Group nasce nel 2001 per iniziativa di un gruppo di studenti di ingegneria e ricercatori quasi tutti della Federico II, università che nelle materie Stem brilla da un bel po’, anche se è una storia di cui si parla poco.
«Siamo orgogliosi di questo traguardo perché nessuno di noi è figlio di imprenditori — dice al Corriere del Mezzogiorno Antonio Maria Zinno, amministratore delegato e fondatore della società insieme con
Marco Bellucci, presidente del cda —. Contiamo di raccogliere fino a 10 milioni di euro collocando sul mercato il 20 per cento del capitale, risorse che vogliamo investire per continuare a crescere diventando leader a livello internazionale nel trasferimento di tecnologie alle piccole e medie imprese».
A portare in Borsa Mare Group sarà un gruppo di advisor capeggiati da Illimity Bank, la banca digitale fondata da Corrado Passera, insieme con la Ir Top Consulting di Anna Lambiase. «Hanno creduto in noi e nelle nostre potenzialità di svilupparci ai ritmi che richiede il listino Egm di Borsa italiana, dedicato alle piccole imprese. Ma noi piccoli lo saremo ancora per poco», prosegue Zinno, che si dice emozionato all’idea di suonare la «campanella» di Palazzo Mezzanotte a Milano. In effetti, le prospettive dovrebbero essere favorevoli per quest’impresa nata praticamente dal nulla e che ha chiuso il 2023 con un fatturato di 39 milioni di euro e un margine di profittabilità del 25 per cento, performance che si vedono solo nel mondo hi tech e neanche sempre. «Siamo nel pieno della transizione digitale — prosegue Zinno — e realtà come la nostra sono fondamentali per aiutare il sistema produttivo a fare un salto in una nuova era. Non tutti ce la fanno da soli: le grandi aziende e le medie possono permettersi di assumere personale specializzato oppure rivolgersi alle società di consulenza, ma le piccole hanno bisogno che le nuove tecnologie vengano loro trasferite da operatori che facciano da ponte».
Tutto ruota intorno a Delfi, la piattaforma tecnologica che prende il nome della città dell’antica Grecia sede del venerato oracolo del dio Apollo. Chi ha fatto studi classici a Mare Group ha pensato che potesse essere di buon auspicio denominare così un sistema informatico complesso per la transizione delle pmi verso il digitale e che rappresenta il pilastro intorno al quale è stato costruito il progetto imprenditoriale da Zinno e Bellucci ai quali si sono aggiunti nel tempo Giovanni Caturano, Valerio Griffa e Marco Lo Sardo, tutti provenienti dal mondo accademico e della ricerca e tutti oggi azionisti. In quasi 25 anni Mare Group ha aggregato altre realtà campane (della holding fanno parte Mare
Digital, Mare Consulting e Mare Industrial) del mondo informatico e digitale, spesso nate spontaneamente per iniziative di studenti ed ex studenti di facoltà scientifiche.
Insomma, c’è una Silicon Valley in embrione a Napoli? Massimo Dal Checco, appena nominato presidente di AnitecAssinform, l’associazione aderente a Confindustria che raggruppa le imprese Ict e dell’elettronica di consumo, dice di non esserne sorpreso. «Partiamo da un dato — osserva —. Nel paese c’è una crescente domanda di profili ict che fa fatica a essere colmata. Questo apre una finestra di opportunità per i laureati Stem in particolare nel Sud Italia dove eccellono le università tecniche: dalla Campania alla Puglia alla Calabria. Le tante start up ict fondate da giovani e giovanissimi ci dicono che abbiamo tanti talenti e giovani preparati e pronti a lavorare nel mondo digital. È un settore che può offrire prospettive di occupazione solide riducendo la ricerca di soluzioni a basso costo all’estero, che spesso si traducono in qualità del lavoro inferiore e a minor impatto sull’economia nazionale».
Forse il Sud ha trovato una sua strada, ma forse fa fatica a vederla.