Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La storia di Elvira Notari e della censura fascista Pannone: «Stiamo all’erta, il potere teme le novità»
In scena da giovedì «Cinemamuto» al teatro San Ferdinando
Ogni film era diventato uno sperpetuo. Neanche il tempo di dare l’ultimo ciak che arrivava, puntuale e incalzante, il delegato della commissione censura con le prescrizioni imposte dal nascente regime fascista. E una volta non andava bene il dialetto napoletano e quindi bisognava tradurre in italiano tutte le didascalie, un’altra volta andava cambiata la sceneggiatura perché il forte impatto realistico, nei bassifondi del “ventre di Napoli”, era considerato antinazionalista e contrastava con la narrazione trionfalistica voluta dal potere. E un’altra volta ancora era meglio “ammorbidire” la sequenza degli scugnizzi che combattono tra di loro a colpi di pietre. Insomma la regista salernitana Elvira Notari, precorritrice del cinema al femminile e del neorealismo, fu talmente soffocata dalla morsa della censura che ad un certo punto preferì chiudere le sue attività di produzione che gestiva insieme al marito Nicola e ritirarsi a vita privata a Cava de’ Tirreni dove morì nel 1946 a 71 anni.
Una storia che, pur risalendo a circa cento anni fa, diventa oggi di stretta attualità inducendo a una riflessione sul contesto politico che stiamo vivendo. Ed è proprio basandosi su questo riflessione che Iaia Forte e Andrea Renzi mettono in scena giovedì 9 maggio alle 21 (con repliche fino a domenica 19) al teatro San Ferdinando l’ultimo spettacolo della stagione, una produzione del Teatro di Napoli-Teatro Nazionale, Cinemamuto, su testo di Roberto Scarpetti, con la regia di Gianfranco Pannone, premio speciale ai Nastri d’Argento 2023 per il docufilm Via Argine 310 sulla vicenda degli operai della Whirlpool di Napoli.