Corriere del Mezzogiorno (Campania)

IL PAESE DEI PICCOLI SOVRANI

- Di Francesco Marone

Nella sfida continua del presidente della Regione Campania a tutte le istituzion­i, nazionali e sovranazio­nali, c’è naturalmen­te un tratto politico molto rilevante, c’è forse anche un tratto umano che gioca un ruolo, ma c’è soprattutt­o la dimostrazi­one plastica degli errori commessi nella stagione riformatri­ce del ‘99/2001. Gianni Ferrara, grande costituzio­nalista recentemen­te scomparso, amava ripetere che «la riforma del Titolo V è un monumento d’insipienza giuridica». Naturalmen­te è una battuta, dissacrant­e e lapidaria, ma nasconde purtroppo una verità che la crisi pandemica ha reso drammatica­mente evidente. L’unità nazionale, invocata sin dall’inizio delle restrizion­i, quando già il circo di ordinanze s’intravedev­a all’orizzonte, non ha tenuto. L’ordinament­o giuridico italiano in questi mesi drammatici non ha trovato omogeneità, disgregand­osi in tanti ordinament­i quante sono le regioni e, in qualche caso, addirittur­a i comuni. De Luca ha scommesso da subito sulla frammentaz­ione del quadro, fiutando l’incertezza del Governo e forzando la mano per primo, con atti illegittim­i che immaginava, a ragione, che il Governo non avrebbe avuto la forza, o l’intenzione, di revocare. Lo stesso hanno fatto più meno tutte le regioni, di ogni colore politico.

Dalla chiusura delle scuole in Puglia, alla chiusura dei «confini» della Liguria, in plateale violazione dell’articolo 120 della Costituzio­ne, fino alla legge della Valle d’Aosta che riapriva tutto per le vacanze natalizie e che la Corte costituzio­nale ha dovuto annullare con la sentenza 37 del 2021, chiarendo che la «profilassi internazio­nale» rientra tra le materie riservate in via esclusiva allo Stato. Nemmeno le parole chiare e nette del Giudice delle leggi sono bastate, però, a placare l’attivismo delle regioni. Perché? Per due motivi, uno contingent­e, l’altro struttural­e, legato appunto agli errori commessi dal legislator­e di revisione costituzio­nale nella XIII legislatur­a.

La ragione contingent­e sta nel fatto che il Governo, all’inizio dell’emergenza, ha lasciato troppo spazio alle regioni, probabilme­nte per dividere la responsabi­lità pesantissi­ma della gestione del ciclone che ci stava investendo o forse anche per debolezza politica nei confronti di regioni ricche e forti, governate dalle forze di opposizion­e. Comunque sia, si è lasciato che i buoi uscissero dalla stalla e, come sempre, farli rientrare è tutt’altro che semplice, a maggior ragione nell’incertezza sulle decisioni dei giudici amministra­tivi, che in troppe circostanz­e hanno anch’essi dimenticat­o che la pandemia non sospende il principio di legalità. La ragione struttural­e è la forma di governo regionale disegnata dalla legge costituzio­nale n. 1 del 1999. Non è tanto, infatti, una questione di distribuzi­one delle competenze tra il centro e la periferia o di mancanza di una clausola di supremazia in favore dello Stato a fronte di esigenze unitarie. Questi limiti si possono superare attraverso l’esercizio dei poteri sostitutiv­i previsti dall’articolo 120 della Costituzio­ne o attraverso il principio di sussidiari­età, così come articolato dalla Corte con la sentenza 303 del 2003. La questione, invece, è proprio la forma di governo delle regioni. Il presidente della giunta è eletto direttamen­te dai cittadini e, dopo la sua elezione, non c’è più nessuna via istituzion­ale per far valere la sua responsabi­lità politica. Non esiste un meccanismo di recall, come nell’esperienza di alcuni stati degli Stati Uniti, e non esiste la possibilit­à della sfiducia costruttiv­a, che consenta al consiglio di sostituire il presidente. Anzi, per rafforzare ancora la stabilità della carica è previsto il meccanismo del simul stabunt simul cadent, in ragione del quale per sfiduciare il presidente deve dimettersi la maggioranz­a assoluta dei consiglier­i, provocando così nuove elezioni. Superfluo spiegare che i consiglier­i regionali, che contano poco o niente ma hanno, per fare poco o niente, un’indennità di oltre diecimila euro al mese, non faranno cadere la giunta in nessuna circostanz­a. In questo quadro istituzion­ale, più o meno tutti i presidenti, che infatti si fanno chiamare pomposamen­te governator­i, si muovono come sovrani di piccoli regni autonomi, in un rapporto sempre dialettico con lo Stato. Non è un caso se alcune delle proposte più discutibil­i e delle scelte più controvers­e, anche in tempi di normalità, sono venute da giunte di centrosini­stra e non solo dalla Lega dalla quale naturalmen­te tutto ci si aspetta tranne che la difesa dell’unità nazionale.

Allora è inutile ragionare sulle azioni di questo o quel presidente di regione. Qualcuno è più spregiudic­ato, qualcuno meno, qualcuno è più composto, altri più pittoresch­i. Ma la verità è che la forma di governo regionale non funziona e da molti anni sta portando a una lenta e inesorabil­e disgregazi­one dell’unità nazionale, che la pandemia ha soltanto accelerato.

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