Corriere del Mezzogiorno (Campania)
ENZA ALFANO E L’ANATOMIA DI UN DOLORE
Sta diventando sempre più spericolata Vincenza Alfano. E con coraggio prova a raccontare l’indicibile, ovvero l’inferno di chi perde un figlio. Ma non si tratta solo di questo. La scrittrice napoletana indaga con occhio attento dentro vizi e virtù di una borghesia asfittica e residuale sul palcoscenico della storia. Così questo breve romanzo nato durante il lockdown, intitolato Sopravvissuti (Alessandro Polidoro editore), oltre all’aspetto intimo di discesa agli inferi assume il valore esemplare di apologo sulla decadenza di un certo ceto privilegiato e inconsapevole. La morte dell’amata figlia Camilla si colloca nella prospettiva globale della vita di Mara e mina certe sue certezze che si stavano peraltro già sgretolando. È questa la chiave di lettura più interessante del testo, che emerge in filigrana attraverso il racconto minuzioso della scoperta dell’incidente di Camilla da parte dei genitori, del successivo riconoscimento e dei giorni del lutto. Eppure, nonostante i dettagli, la parte più personale della tragedia spesso è solo appena tratteggiata, come abbozzata. L’autrice simpatizza con il suo personaggio, ma tutto sommato si ferma sulla soglia del suo dolore troppo grande, si tira indietro quando c’è da guardare nell’abisso. Preferisce invece offrirci un quadro d’insieme dell’esistenza di Mara, insegnante appassionata e brava moglie che però a un certo punto deve fare i conti con la famiglia scomoda del marito, implicata in problemi con la giustizia. Si intravedono allora crepe vistose nell’edificio di una quotidianità apparentemente serena. Paradigmatica appare l’amicizia con Fabiana, compagna di sempre, vicina nella sventura, con la quale però a un certo punto Mara si rende conto di non avere nulla da dire, nulla in comune, se non l’abitudine di trascorrere tempo insieme. È un po’ una moderna ibseniana «casa di bambola» quella in cui la donna è rinchiusa. A tirarla fuori ci penserà la vita con la sua crudeltà.