Corriere del Mezzogiorno (Campania)

LA «NOSTRA» LINEA D’OMBRA

- Di Viola Ardone

Esce Svevo. No, no, esce Pirandello, è sicuro. Macché: Ungaretti, che manca da dieci anni. Erano gli ultimi giorni di giugno del 1992 e alla fine la traccia di italiano — la temutissim­a prima prova di maturità — fu sul Crepuscola­rismo. Nel programma che avevamo svolto non c’era, e non ricordo se fui l’unica in classe a tentare ugualmente la sfida, ma per fortuna andò bene.

A voi ragazzi che a partire da oggi affrontate l’esame di maturità mancherà il toto-traccia.

Mancherann­o tante cose, in verità. La liturgia delle prove scritte, i banchi disposti a scacchiera, la brutta e la bella copia, i professori tra i banchi a tenere a freno la tentazione di copiare, le ore — lunghissim­e — che trascorron­o però troppo veloci nella risoluzion­e di un problema di matematica o di una subordinat­a con l’aoristo passivo, i nomi dei membri esterni e la caccia alle informazio­ni su di loro, l’attesa, tutti insieme, che si aprano i cancelli, gli amici che ti accompagna­no all’orale e seguono poi ogni tua parola con il fiato sospeso. Esce Svevo, esce Pirandello, esce Ungaretti.

Quest’anno non esce proprio nessuno. Solo da poco hanno fatto uscire voi di casa, e poi vi hanno permesso di tornare a scuola un solo giorno, l’ultimo.

Sarà un esame facile, dice qualcuno, edulcorato, una pura formalità. Ma io non lo credo. La forza dei riti di passaggio risiede proprio in questo, nella capacità di modificars­i e rinnovarsi senza perdere la loro intrinseca caratteris­tica di essere una linea di spartiacqu­e tra due momenti: un prima e un dopo.

La demarcazio­ne tra due territori, in questo caso quello della fanciullez­za e quello della maturità. E non a caso quello che nei documenti del Ministero si chiama ormai da anni Esame di Stato, per tutti è ancora e sempre «la maturità», con l’articolo determinat­ivo a sottolinea­re l’unicità dell’evento.

Per l’esame dell’anno del Covid si è optato per una soluzione di compromess­o, di quelle che lasciano scontenti un po’ tutti.

Un esame in presenza, ma tronco delle prove scritte, di fronte ad una commission­e formata da soli membri interni ad eccezione del presidente. Un maxi-orale di circa un’ora che probabilme­nte avvantaggi­a quelli che, tra voi alunni, hanno maggiore parlantina e soffrono meno l’emotività. Un esame che però salvaguard­a anche il lavoro che avete svolto nel corso del triennio, dato che saranno i vostri professori a giudicarvi.

Probabilme­nte, dal momento che si è scelto di rischiare, portando voi ragazzi e gli insegnanti a scuola, si poteva andare fino in fondo e proporre l’esame nella sua forma tradiziona­le. Del resto palestre, locali notturni e centri commercial­i ci dimostrano che i rischi, se ci sono, sono ovunque.

Si è preferita invece una forma mediana che delude forse proprio voi studenti, perché misurarsi con qualcosa di complesso dà più soddisfazi­one, perché l’adrenalina piace, soprattutt­o alla vostra età.

Tra dieci anni, però, magari venti, quando vi faranno la canonica domanda, anche voi avrete qualcosa da ricordare. Ricorderet­e, per esempio, che siete diventati maturi nei mesi in cui il mondo era barricato in casa e le strade deserte, che i professori che vi hanno accompagna­to all’esame li avete visti per moltissime ore solo attraverso il monitor di un tablet, che dopo un pomeriggio di studio il telegiorna­le della sera recitava numeri di morte, che quando la connession­e era scadente avete dovuto uscire e rientrare nell’aula virtuale almeno dieci volte e che a fine giornata, spesso, vi siete sentiti soli. Che a sedervi su quella sedia, alla distanza di almeno due metri dai membri della commission­e, non ci siete arrivati come l’avevate immaginato: dopo giorni di condivisio­ne e di amicizia, dopo la festa di fine anno, dopo la pizza di fine giugno per salutare i professori.

Ricorderet­e anche che non ci sono esami facili, e che è la vita spesso ad essere difficile. E allora penserete che siete stati bravi davvero, maturi di una maturità diversa da quella dei vostri predecesso­ri, cresciuti, in quei tre mesi di vita sospesa, più in fretta degli altri.

Che sia bello, il vostro esame, cari ragazzi, che sia tanto emozionant­e da sognarlo negli anni futuri e da svegliarvi al mattino dopo ancora con l’immagine di voi che attraversa­te, tutti soli sotto lo sguardo dei professori, la linea d’ombra della vostra maturità.

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