Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Le conseguenze catastrofiche di un ritorno al lockdown
Èriapertura e quindi c’è (come è logico dopo settimane di clausura) gioia e frenesia nelle strade sotto l’occhio ansioso dei decisori e controllori.
Pronti in caso di impennata dei numeri ad una retromarcia che non vorrebbero mai fare, ancor più di quanto mai avrebbero voluto chiudere. Un ritorno al lockdown avrebbe conseguenze catastrofiche ed allora si sono stabilite soglie rigorose oltre le quali ci saranno chiusure parziali: l’esperienza acquisita ci consentirà stavolta di poter richiudere prima del disastro.
In questo senso è stato proposto un cronoprogramma di riapertura che è stato contestato solo da chi non ha compreso quanto sia importante essere progressivi nelle concessioni per avere tra uno step ed il successivo un tempo coincidente con quello medio di incubazione.
Se si impenna di nuovo la curva so cosa l’ha fatta impennare, se gli aumenti, probabilmente inevitabili, nei nuovi positivi son contenuti posso passare al successivo step.
È un modo di pensare flessibile, encomiabile perché indice di adattamento ad una situazione mai vista prima. Non era certo possibile procedere con i vecchi cronoprogrammi che stabiliscono fatti certi e date certe; la consapevolezza della assoluta novità del momento, della mancanza di precedenti affidabili ha indotto i decisori a sviluppare una visione algoritmica in cui c’è spazio per una diramazione dell’albero decisionale, per una marcia indietro e soprattutto per una parzialità di questa marcia indietro, se proprio necessaria.
Sono soprattutto due i parametri osservati : il numero giornaliero dei nuovi positivi ed il numero di accessi in pronto soccorso per Covid-19.
Sono ormai alcuni giorni che il numero dei nuovi infetti sembra essersi stabilmente posto sotto soglia 2000 al giorno, enorme vittoria posto che erano rimasti tra 3 e 4000 per tanto tempo. Certo, ancora tanti. Il numero degli accessi in Ps, considerato anche in rapporto ai nuovi infetti, ci dà la misura di quanto sia migliorato il modo di trattare questa patologia fin dal suo inizio e cioè di quanto si sia riusciti a spostare la cura dall’Ospedale al Territorio con le Usca stabili o itineranti, con un nuovo coinvolgimento dei medici di base, con farmaci efficaci da usare fin da subito. Si è capito che il nemico va affrontato subito, senza dargli modo di far danni irrimediabili, quelli vascolari ancor prima che polmonari.
Unica nota davvero stonata il numero alto dei decessi giornalieri ancor vicini a 200, quei numeri come sordi rintocchi che si inseguono lungo tutto l’arco delle settimane. Saranno gli ultimi a calare: infatti seguono la sfavorevole evoluzione di casi ricoveratisi anche un
mese fa e la cui malattia non è stato possibile emendare vuoi per forza intrinseca del male, vuoi per compresenza di malattie croniche, vuoi per età troppo avanzata. Ed in genere, soprattutto per gli anziani, si va via per insufficienza multiorgano, un sinistro concertato in cui il Covid è maestro ed i fallimenti dei vari organi si richiaman l’un l’altro.
C’è qualcosa di straniante e terribile in queste morti. Innanzitutto i numeri giornalieri od ancor più settimanali, rilevanti come da grande sciagura (Amatrice 292 morti, L’Aquila 309 morti) ma a cui pur ci si è abituati. Ciò che è ancor più terribile è il fatto che nell’euforia generale da riapertura, nell’abbraccio con il sole del mattino e l’aria fresca della sera, quel monito serale ha adesso un sapore quasi da seccatura residuale, qualcosa da cui voltarsi altrove per pensare al luminoso futuro, qualcosa di sgradevole che ci riporta alla paura delle prime settimane. Perlomeno chi è andato via all’inizio, per quanto possa valere e servire, portava con
sé lo sgomento e perfino un certo dolore da parte di chi rimaneva. Ne «L’Umanità in tempi bui» Hanna Arendt ci parla dei perseguitati che si stringono gli uni agli altri con un calore ed una solidarietà di cui altrimenti l’Uomo è incapace.
Ma ora, col sole, con la voglia di ricominciar tutto, che ne sarà di questo sentimento? È questa forse la cosa più atroce: andar via mentre fuori è scoppiata la primavera ed il Mondo ricomincia a girare e girerà senza di te. Così muore Tarrou, personaggio titanico de «La Peste» di Albert Camus, combattendo da leone e perdendo mentre fuori è festa. Viene il gelo solo a pensarci ma bisogna guardare anche nel buio per maturare rispetto e solidarietà, anche se si vorrebbe solo gioire.
* Professore Emerito di Statistica Economica
e già Rettore Università Parthenope
* Medico e componente del direttivo Sapmi-Confsal