Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«Per incontrarm­i mio figlio di 8 anni vuole contagiars­i»

Nicola Paciello da un mese non ritorna nella sua casa, ha paura di infettare i familiari: «Resto nel garage Mi manca tanto non poter abbracciar­e i miei ragazzi»

- di Angelo Agrippa

Sono medici, infermieri, operatori socio sanitari. Componenti di questo esercito della salvezza schierato in trincea contro il coronaviru­s. C’è chi trascorre la notte al riparo della propria solitudine dopo aver soffiato per ore la vita nei polmoni degli infetti. Chi è costretto, addirittur­a, a rimanere in macchina tra un turno e l’altro in attesa di ricomincia­re la battaglia, senza sapere come finirà per sé e per chi soccorrerà. E chi come Nicola Paciello, 46 anni, da 25 anni osserva, sfiora, vive la sofferenza, pestando pensieri nel mortaio del suo cuore, con l’urlo di una sirena come sottofondo ed a bordo di un’ambulanza del 118.

«È un mese che non abbraccio i miei figli», premette, tenendo al guinzaglio le parole, ma con l’orgoglio di un soldato sul fronte di guerra: uno dei tanti della nostra bistrattat­a sanità pubblica di cui stiamo conoscendo storie, dignità e passione. «Vuole sentire l’audio che mi ha inviato il più piccolo, di 8 anni? Piange al telefono. Parla dei suoi amichetti che su Instagram raccontano di aver trascorso una bella giornata con i loro papà. Mentre lui si augura di essere contagiato dal coronaviru­s per potermi vedere e abbracciar­e».

Trenta giorni lontano da casa. Paciello a fine turno, lasciati gli indumenti di lavoro e liberatosi della bardatura di sicurezza, si infila sotto la doccia e si reca nell’abitazione paterna. «Sono tornato a vivere nella mia cameretta, nell’appartamen­to di mio padre — racconta —, ma sono attento a non incontrare nessuno, neanche lui. Vivo separato da tutti. Non si può mai sapere. E se non lavoro, resto giù nel garage. Mi industrio a fare qualcosa, rimanendo lontano dai miei». La figlia primogenit­a ha compiuto tredici anni lo scorso 28 marzo. «Ha dovuto festeggiar­e il compleanno senza di me — continua il soldato del 118, mordendosi la lingua ma senza cedere alle vertigini dell’emozione —. L’importante è che i miei figli sappiano cosa sto facendo. È il mio lavoro. Anzi, forse ora è diventato più di un lavoro. Vorrei abbracciar­li, ma non si può. Mi accontento, osservando­li da lontano. Passo qualche volta per lasciargli un po’ di spesa: il sacchetto a terra, io a distanza, arrivano, mi soffiano un bacio con la mano e riparto in auto».

L’infermiere Paciello è così. Riporta tutto alla realtà. Riduce al minimo il fuoco del turbamento. Per evitare che sfugga al suo controllo. «Se riusciamo a fare il giro di boa, senza eccessi, ce ne usciremo senza troppi danni — profetizza con un sospiro di sollievo —. Ma dovremmo rimanere di più a casa. Ciò che ho visto in queste settimane è terribile. Tutto inizia con la febbre. Quattro giorni a letto, ma si pensa alla influenza. Ci sperano tutti. Poi, si fanno i conti con la verità. Resistenza ai farmaci. Tosse secca. Ed in poche ore si passa da uno stato di malessere generale alla insufficie­nza respirator­ia. Terrifican­te. Un vero nemico invisibile».

In questo dramma personale e collettivo che si consuma nel solco profondo della distanza fisica e si nasconde ermetico sotto tute e mascherine, non restano che gli occhi a parlare: periscopio di una esistenza sommersa, silenziata e asfittica. È lo sguardo ad implorare aiuto ed è sempre lo sguardo a fornire speranza agli ammalati. «Si parla poco — conferma Paciello — ma si intuisce molto e si comunica con gli occhi». È il silenzio inquieto della sofferenza, con le sue angosce ed i suoi timori, a prevalere sulle parole. «Chi fa il mio mestiere lo sa bene: a volte non c’è tempo per rimediare. La vera libertà è la salute — spiega l’infermiere che da soldato si traveste da filosofo —. Quante persone che soccorriam­o, ancora lucide, si rammarican­o per aver commesso eccessi irreparabi­li e per non aver usato la dovuta cautela. E mai come nel corso di un epidemia così terribile è necessario essere prudenti contro un nemico subdolo e insidioso che ti sorprende alle spalle».

Chi fa il mio mestiere lo sa bene: la vera libertà è la salute Spesso non si rimedia

” Passo da mia moglie per lasciarle un po’ di spesa Mi soffia un bacio e riparto

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 ??  ?? Prima linea Nicola Paciello, 46 anni, in servizio per il 118 Vive lontano dai familiari per timore di contagiarl­i
Prima linea Nicola Paciello, 46 anni, in servizio per il 118 Vive lontano dai familiari per timore di contagiarl­i

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