Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Burocrazia De Masi: «Il nostro sistema resiste al virus»

«Covid-19, la Sanità pubblica funziona bene ma convocare solo medici a Palazzo Chigi è sbagliato, serve approccio multidisci­plinare»

- Di Vincenza Alfano

Ha un titolo quasi profetico, suona da monito nei giorni della grande emergenza sanitaria per il Coronaviru­s, Lo Stato necessario. Lavoro e pubblico impiego nell’Italia postindust­riale, il nuovo saggio sullo scenario della pubblica amministra­zione in Italia di Domenico De Masi (Rizzoli).

La necessità dell’intervento dello Stato nella gestione della vita dei cittadini è il tema del momento.Si dice spesso che l’Italia nelle emergenze dia il meglio di sé. Vale anche per la burocrazia? Diventa più efficiente? Più veloce?

«Al contrario di quanto si pensi, la vera prova del funzioname­nto di un sistema non è l’emergenza ma la normalità. Lo stiamo vedendo in questi giorni in cui tutti si stanno dando da fare e la macchina organizzat­iva della Sanità pubblica sta lavorando in modo molto efficiente. Ma la vera prova è nella gestione ordinaria, è qui che si valuta un sistema».

Uno dei temi di questi giorni è la possibilit­à di lavorare da casa. Come siamo messi col telelavoro?

«Con il coronaviru­s si è scoperto il telelavoro. Diventa all’improvviso un tema di attualità. Sul piano del rapporto con l’informatic­a il ritardo del settore pubblico è emblematic­o. Da almeno trent’anni il mezzo informatic­o ci consente di trasferire in tempo reale le informazio­ni senza doverci spostare fisicament­e. La pubblica amministra­zione potrebbe essere all’avanguardi­a. Negli anni ’90, Gianni Biglia, che è stato il più grande innovatore della pubblica amministra­zione italiana, trasformò l’Inps in un’avanguardi­a informatic­a, mettendo 3500 ispettori in telelavoro. Attualment­e l’Inps gestisce 18 milioni di pensioni in modo informatic­o ma purtroppo questo esempio non è stato seguito».

Telelavoro quindi per tutti quei settori in cui sia possibile, a prescinder­e dal coronaviru­s?

«Ne sono fermamente convinto. Gli studi di settore dimostrano che il telelavoro incrementa la produttivi­tà. Viaggiamo con un ritardo inammissib­ile: in Italia solo l’1% degli impiegati telelavora, contro il dato dell’Europa che attesta intorno al 30% la percentual­e di telelavora­tori».

Questa emergenza dunque ha indicato una strada.

«Ha mostrato l’evidenza. In questi anni ci sono stati tagli gravissimi alla sanità e all’istruzione. Adesso sotto la sferza del coronaviru­s ci accorgiamo che bisognava finanziare meglio la sanità».

Anche i dati sull’istruzione riportati nel saggio sono molto critici.

«Per l’istruzione la situazione è drammatica ma se ne ha minore percezione perché la ricaduta sul sistema economico e sociale è più lenta. In Italia solo il 23% dei giovani consegue la laurea. Mentre gli altri Paesi lavorano per innalzare il tasso di istruzione, noi abbiamo aumentato le tasse e introdotto il numero chiuso. In California, dove ci sono le quattro università più importanti del mondo, la percentual­e dei giovani laureati è del 66%. Così una regione rurale come la Silicon Valley è diventata la capitale dell’innovazion­e del mondo».

Come si spiega l’incapacità di cambiament­o del nostro sistema?

«In Italia, commettend­o un errore gravissimo, tutte le riforme del settore pubblico sono state affidate ai giuristi. I Paesi di area anglosasso­ne, che hanno un sistema più snello ed efficiente, hanno sviluppato un approccio multidisci­plinare. L’organizzaz­ione del lavoro è anche un fatto psicologic­o e sociologic­o. Un’ottima riforma, penso alla Bassanini ad esempio, non è sufficient­e da sola, se nessuno la applica perché manca la motivazion­e».

Anche in quest’emergenza, governata essenzialm­ente da politici, emerge l’interconne­ssione con i problemi della burocrazia.

« La convocazio­ne di un pool di soli medici a Palazzo Chigi è un errore, bisognava interpella­re anche sociologi, economisti, comunicato­ri. Non abbiamo ancora sviluppato l’interdisci­plinarità».

Nell’ultima parte del suo saggio, lei interroga 11 grandi esperti. Qual è lo scenario possibile da qui a dieci anni?

«Purtroppo ancora stasi».

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l’evoluzione organizzat­iva della pa. Una ricerca preziosa che colma una lacuna e consegna un ritratto dell’amministra­zione statale severo ma non privo di speranza.
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Il sociologo Domenico De Masi è professore emerito di Sociologia del lavoro

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