Corriere del Mezzogiorno (Campania)

L’ultimo valzer

- Di Marco Marsullo SEGUE DALLA PRIMA

Non so se a voi è capitato, o stia capitando, lo stesso. Un po’ alla volta, giorno dopo giorno durante i quali mi sono tenuto a distanza da tutti, ho represso l’abbraccio all’amico, la stretta di mano con chi lavoro, un bacio d’affetto, guancia a guancia, nell’incontro fortuito per strada con chi non vedevo da un pezzo.

Mi è costato più di un singhiozzo, più di un passo falso bloccato con un pronto balzo all’indietro. Anche l’imbarazzo di rifiutare, fisicament­e, la buona fede che qualcuno mi regalava. La fiducia automatica di noi umani nell’unire i nostri corpi, perché è di questo siamo fatti: fiducia e collettivi­tà. E adesso che ho finito pure di imbarazzar­mi perché accanto a me, ormai, non c’è più nessuno (solo un gatto nero, Miù, che dorme quasi sempre e pretende affetto quando gli va), mi rendo conto che sulle mie dita, sui polpastrel­li che, come il cervello, assorbono i ricordi e le sensazioni, quella del contatto fisico con un mio simile, è svanita. Non c’è più, per quanto mi sforzi. E quando guardo un film o una serie tv, e vedo i protagonis­ti intenti a parlottars­i vicini, stringersi, fare un passo di ballo con le mani intrecciat­e, io penso: beati voi, pure che state recitando.

A me neanche quello è rimasto; perché un gatto, per quanto lo accarezzi, un giro di valzer non te lo regalerà mai.

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