Corriere del Mezzogiorno (Campania)
L’ultimo valzer
Non so se a voi è capitato, o stia capitando, lo stesso. Un po’ alla volta, giorno dopo giorno durante i quali mi sono tenuto a distanza da tutti, ho represso l’abbraccio all’amico, la stretta di mano con chi lavoro, un bacio d’affetto, guancia a guancia, nell’incontro fortuito per strada con chi non vedevo da un pezzo.
Mi è costato più di un singhiozzo, più di un passo falso bloccato con un pronto balzo all’indietro. Anche l’imbarazzo di rifiutare, fisicamente, la buona fede che qualcuno mi regalava. La fiducia automatica di noi umani nell’unire i nostri corpi, perché è di questo siamo fatti: fiducia e collettività. E adesso che ho finito pure di imbarazzarmi perché accanto a me, ormai, non c’è più nessuno (solo un gatto nero, Miù, che dorme quasi sempre e pretende affetto quando gli va), mi rendo conto che sulle mie dita, sui polpastrelli che, come il cervello, assorbono i ricordi e le sensazioni, quella del contatto fisico con un mio simile, è svanita. Non c’è più, per quanto mi sforzi. E quando guardo un film o una serie tv, e vedo i protagonisti intenti a parlottarsi vicini, stringersi, fare un passo di ballo con le mani intrecciate, io penso: beati voi, pure che state recitando.
A me neanche quello è rimasto; perché un gatto, per quanto lo accarezzi, un giro di valzer non te lo regalerà mai.