Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Napoli diventa «inglese» per il suo city brand
Clemente: i colori sono internazionali e ricordano terra e lava Caprara: avrei preferito qualcosa di più coerente con la città
Il Comune sceglie il city brand, il marchio che rappresenta la città grazie a un lavoro di concerto tra l’assessore Clemente, il sindaco de Magistris e il presidente della Commissione consiliare Vernetti.
NAPOLI Un logo, un’immagine, una dimensione, un segnale di aggregazione in un momento dove non sempre si evince l’unità di intenti e la cognizione di marciare tutti nella stessa direzione.
Il Comune di Napoli e la sua Giunta sceglie il city brand ovvero il marchio che rappresenta la città e lo fa grazie a un lavoro di concerto tra l’assessore al made in Naples Alessandra Clemente, il sindaco de Magistris, il presidente della Commissione consiliare Vernetti con i servizi competenti.
«We are Napoli» rigorosamente in inglese mantenendo la dicitura italiana della città. Noi siamo Napoli con il «We» e il «Napoli» scritto in nero e il verbo «are» invece vergato in rosso. Una scelta cromatica piuttosto anomala considerando i colori tipici della napoletanità che invece si ritrovano nella versione business vestita di azzurro e blu: «Abbiamo scelto il colore rosso perché è quello più usato nel mondo per i city brand ed è il colore che strategicamente nel marketing viene associato a passione, coesione e terra di appartenenza. Nel nostro caso il rosso della lava e del Vesuvio».
Per quanto concerne la scelta della lingua inglese che avvicina in questo modo anche i giovani la motivazione è chiara: «L’uso della lingua inglese nel concept, che però rimane italiano nel nome della città, è una scelta obbligata volendo parlare ad un pubblico internazionale - ha continuato Clemente -. Ecco il city brand di Amsterdam non è in lingua strettamente olandese, così come quello di Berlino non è in tedesco. È stata una decisione fortemente voluta la scelta di Napoli in luogo di Naples».
La versione business invece avvicina decisamente e riproduce fedelmente quelle che sono le tinte care ai napoletani: «I colori tipici della napoletanità che sono l’azzurro e il blu - ha proseguito la Clemente - sono stati invece scelti nella versione business per rappresentare il city brand come made in Naples all’estero».
Insomma un city brand più freddo e realistico che magari si discosta dalla tipica immagine folkloristica che per anni ha rappresentato Napoli e che l’ha fatta conoscere nel mondo anche in un modo piuttosto imbarazzante per molti. Valerio Caprara, critico cinematografico e docente universitario, ha visto e analizzato attentamente il logo: «Non ho difficoltà a giudicarlo lineare ed elegante, ma non posso negare di percepirlo come poco genuino - ha detto -. Non coincide molto, cioè, con lo strumentale vittimismo che contrassegna spesso le narrazioni della città espresse dall’attuale amministrazione. Mi sembra un po’, a dirla tutta, un triplo salto carpiato per come è stato impostato rispetto alla retorica che finora ha imperversato nella strategia comunicativa di Palazzo San Giacomo. A questo punto avrei trovato più fedele alla sua impostazione, per così dire, etico-politica il logo “I am Napoli” visto l’orgoglioso egocentrismo col quale il sindaco ama esternare il suo pensiero».
Non è certo sbagliata l’intenzione di creare un logo, secondo Caprara, anzi è un passaggio indispensabile in vista delle prossime sfide che attendono la già precaria vita cittadina, ma sarebbe magari opportuno svilupparlo in modalità coerenti: «Fa piacere questa correzione di rotta rispetto a una deriva populista e demagogica e fa ancora più piacere come questo logo finisca, in fondo, per suggerire quanto sia grottesco proclamare che tutti i famigerati poteri forti del mondo siano impegnati a frenare l’onda arancione e terrorizzati dal cosiddetto modello Napoli».