Corriere del Mezzogiorno (Campania)
De Magistris e il ciclo che finisce
Valeria Valente ha disertato perché ha letteralmente abbandonato il campo: cosa che invece non ha fatto Mara Carfagna che pure è stata eletta vice presidente della Camera. Ha disertato perché ha preferito Roma a Napoli. È scappata dopo aver guidato il Pd al tempo delle primarie inquinate, delle liste elettorali «taroccate», e del mancato ballottaggio. E invece di tentare un riscatto per sé e il suo partito dopo la clamorosa sconfitta alle amministrative, ha fatto «ciao ciao» con la mano ed è uscita di scena. Il che non dice solo della persona, che in quanto tale non si può che rispettare. Ma dell’intero Pd, del suo stato di salute, del caos che lo governa, e dei criteri – discutibilissimi – che questo partito utilizza per la selezione della classe dirigente.
E dice anche della città, ancora una volta tradita da una parte consistente – e storicamente carica di responsabilità – del suo ceto politico. A proposito di tradimento, poi, ecco il secondo episodio della giornata. L’articolo di Selvaggia Lucarelli non è più velenoso del servizio Rai di Concita De Gregorio su De Luca a proposito di Salerno. E non dice su de Magistris cose diverse da quelle fin qui dette da molti, non ultimo Ernesto Galli della Loggia, intervistato su queste colonne da Mirella Armiero. Ma colpisce più di ogni altro perché è come un oggetto contundente lanciato dallo stesso fronte. E sebbene scritto con la solita leggerezza e formalmente limitato al solo aspetto della comunicazione social del sindaco, esprime due concetti entrambi pesanti come macigni. «La metamorfosi di Giggino», recita genericamente il titolo. «Sui social il sindaco si lascia un po’ andare», specifica bonariamente l’occhiello. Ma poi, ecco il primo colpo: de Magistris, scrive Selvaggia
Lucarelli, è diventato col tempo, da quando ha cominciato a farneticare sui social, «un sinistro incrocio tra Diego Funaro, Benito Mussolini, e Masaniello». Dove l’accostamento che più risalta è ovviamente il secondo. Non quello al giovane filosofo neo marxista, tantomeno quello, ormai abusato, al capopopolo con la bandana. Quindi, l’affondo: quando promette che si riprenderà tutto quello che è stato tolto a Napoli (finanziamenti statali e scudetto), di fatto, scrive ancora Lucarelli, de Magistris parla come «un boss di Gomorra». Né più né meno. Conclusione: fascista e camorrista. Neanche Saviano, nella sua nota polemica con il sindaco, era arrivato a tanto.