Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Quando il progresso illuminò con il gas le colonne di Piazza del Plebiscito
Il 10 settembre 1837 la data del grande esperimento tecnologico Poi Napoli si dotò di più di 400 lanterne e di 17 chilometri di tubi
Piazza del Plebiscito, a Napoli, è luogo privilegiato per eventi di particolare importanza o grandi manifestazioni pubbliche e così è stato anche nel passato, quando si chiamava «Largo di Palazzo» ed era il cuore pulsante di una capitale che, nell’Ottocento, faceva a gara con Londra e Parigi per stare all’avanguardia del progresso tecnologico. Così avvenne che, nel 1837, quell’angolo di Napoli s’ispirò a Parigi per trasformarsi nella Ville Lumière d’Italia.
A quell’epoca sul trono di Napoli sedeva il giovane ma intraprendente Ferdinando II, amante del progresso tecnologico che, durante un viaggio a Parigi, era rimasto straordinariamente colpito dal nuovo sistema d’illuminazione pubblica della città: i lampioni a gas. Fu per questo che quando un francese, tale cav. De Frigiere, in società con altri tre francesi, Bodin, Cottin e Jumel, chiese a Ferdinando II di illuminare la città con il gas, il re fu subito favorevole all’idea di realizzare anche nella sua capitale quanto aveva visto nelle vie di Parigi. In verità di gas per l’illuminazione, a Napoli, si parlava già dal 1817 quando, con un decreto reale del primo gennaio, il nonno di Ferdinando II aveva concesso all’imprenditore Pietro Andriel di Montpellier, l’esclusiva per l’illuminazione a gas idrogeno della capitale senza, però, che questi desse mai corso all’opera. Così, vent’anni dopo, prima di dare l’autorizzazione, Ferdinando II pose una condizione al De Frigiere: avrebbe dovuto dare un saggio delle sue capacità tecniche con una dimostrazione pubblica. E quale luogo migliore poteva esserci, se non il colonnato della chiesa di San Francesco di Paola, proprio difronte al Palazzo Reale?
Il grande esperimento ebbe luogo il 10 settembre 1837 alla presenza delle autorità cittadine, di una grande folla accorsa per assistere a quel prodigio tecnologico e, naturalmente, del re. Già dal pomeriggio tutMilano
La Ville des Lumières Dopo «Largo di Palazzo» i fanali riempirono via Toledo, la Riviera di Chiaja, il Chiatamone, Largo di Castello, la Pignasecca, Port’Alba, Monteoliveto, Foria, i Tribunali, Porta Nolana e il porto
to era pronto e si aspettava solo il tramonto per dare il via alla dimostrazione. Quando gli ultimi raggi di sole scomparvero dietro la collina di Pizzofalcone lasciando il posto alle ombre della sera, le 29 lanterne installate sotto il porticato della piazza si accesero, una dopo l’altra, strappando un grido di meraviglia e un applauso al popolo in attesa. Una luce nuova e forte, mai vista prima, illuminava quello spazio, lasciando immaginare come sarebbe stata la città, una volta che quella prodigiosa invenzione fosse stata estesa a tutte le strade. Per la seconda volta, in Italia, un impianto d’illuminazione pubblica a gas era in funzione. Il primo era stato realizzato nel 1832 a dall’ingegner Gaetano Brey, che aveva illuminato le botteghe della galleria De Cristoforis con alcuni fanali alimentati a gas prodotto dalla resina. L’impianto napoletano, invece, era diverso e si basava su un ingegnoso sistema di produzione e distribuzione del gas allestito in un piccolo stabilimento dietro i portici della basilica, che usava olio d’oliva per produrre il gas.
Ferdinando II fu entusiasta della dimostrazione ma, prima di concedere l’appalto, chiese di proseguire con la sperimentazione, estendendo l’illuminazione a gas anche al Palazzo Reale. Nei mesi seguenti poi, con una sensibilità sorprendentemente moderna, fece valutare i possibili rischi per la popolazione, derivanti dalla combustione del gas. Furono consultati illustri medici e chimici e, solo quando questi assicurarono la non nocività delle esalazioni, si procedette all’affidamento dell’appalto. Il contratto con il De Frigiere fu stipulato il 13 dicembre 1838, coinvolgendo anche Andrea Rocco e Nicola Scala, appaltatori napoletani per l’illuminazione a olio già in funzione da anni in città. Con quel contratto il francese s’impegnava, a partire dal primo gennaio 1839, a installare 402 fanali in 34 diverse località di Napoli. Con lungimirante attenzione all’economia nazionale, il contratto prevedeva espressamente l’uso di olio d’oliva per produrre il gas, così da sfruttare una delle principali produzioni del Regno, mentre escludeva del tutto l’uso del carbone. Allo stesso modo, per dare slancio all’industria nazionale, fu affidata alla fonderia napoletana Zino, Henry e Co la produzione di tutte le tubazioni, i raccordi, gli strumenti e gli utensili necessari alla realizzazione degli oltre 16 km di rete di distribuzione interrata previsti. Già nel maggio 1840 l’illuminazione del Real Teatro San Carlo e di alcune strade adiacenti era stata completata e sarebbe proseguita negli anni seguenti, seppure più lentamente del previsto, nel perimetro compreso tra Via Toledo, Riviera di Chiaja, Chiatamone, Largo di Castello, Pignasecca, Monteoliveto, Port’Alba, Via Tribunali, Via Foria, Porta Nolana e il porto.
L’espansione della rete continuerà anche dopo l’Unità d’Italia e le società coinvolte cambieranno più volte fino a quando, nel 1862, nascerà La Compagnia Napoletana d’Illuminazione e Scaldamento col Gas (l’attuale Napoletanagas) che completerà l’illuminazione cittadina. Ma ormai, alla fine dell’Ottocento, quella stagione è al tramonto e il gas sta per essere soppiantato dall’energia elettrica più sicura ed efficiente. Di quei lontani giorni restano, oggi, poche romantiche tracce, come i lampioni a gas ancora in esercizio sul ponte di Castel dell’Ovo, ma sufficienti a ricordarci di quando Napoli era orgogliosamente all’avanguardia del progresso tecnologico in Italia.