Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Parade Pulcinella e Serata Picasso-Massine
Si celebra il viaggio che il grande artista fece nel 1917 in Italia per due nuove creazioni con Diaghilev
«D iaghilev non disponeva tanto di un buon giudizio musicale», scrive Stravinskij, «quanto di un grande fiuto nel riconoscere la potenzialità di un successo... capiva l’importanza del nuovo ed era capace di volgerlo a proprio profitto». Amava stupire, anzi disorientare Sergej Diaghilev, il geniale impresario dei Balletti Russi che tolse alla musica il ruolo di ancella di un movimento che «si stava pietrificando» (sempre Stravinskij nelle conversazioni con il suo amato Robert Craft) rendendola regina tra le regine, in un sistema moderno di rinnovamento artistico con tutte le discipline sul trono per dar vita allo «spettacolo perfetto».
Pesche miracolose le sue, tra le menti più interessanti sulla scena dell’avanguardia: dai coreografi Michail Fokine e Léonide Massine alle scene e costumi di «giovani intraprendenti» come Bakst e Benois, dalla stella del balletto Nijinskij ad intellettuali come Max Jakob, André Salmon, Apollinaire e Cocteau, che accettarono la scommessa di buttarsi senza rete in un‘esperienza che visivamente era forgiata da gente come Picasso, Braque e Dufy. Nascono in questo clima creazioni come Parade (musica di Satie) e Pulcinella (firmata da Stravinskij), coreografie di Léonide Massine, in scena al Teatro Grande degli Scavi di Pompei (da stasera al 29 luglio) in una produzione del Parco Archeologico con Mondadori Electa. Protagonisti Rebecca Bianchi, Claudio Cocino e Manuel Paruccini - insieme con i solisti e il corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma diretti da Eleonora Abbagnato - per far rivivere non solo due creazioni marchio di fabbrica dei Balletti Russi ma anche lo spirito di un tempo innovatore e spiazzante evocato dal viaggio in Italia che Picasso e Cocteau fecero nel 1917, con tappe a Roma, Napoli e Pompei.
E dopo le mostre «Picasso e Napoli: Parade», nelle sedi del Museo di Capodimonte (con il celebre sipario steso al cielo, emozionante per gli amanti del balletto, e non solo, che abbiamo potuto ammirare fino a poche settimane fa grazie ad una fortunata intuizione di Syl- vian Bellenger), e nell’Antiquarium degli Scavi di Pompei arrivano le due celebri creazioni di Massine, riprese da suo figlio Lorca, a sua volta danzatore e coreografo (al San Carlo Opera Festival il 12 settembre torna, dopo tre anni dall’ultima volta sul palcoscenico del lirico, il suo Zorba il Greco), che oltre al legame con i lavori del padre ha anche un rapporto particolare con il Balletto dell’Opera di Roma, che ha diretto dal 1981 al 1983. Assistenti alla ripresa coreografica sono Anna Krzyskow e Manuel Paruccini. Le scene e i costumi di Picasso sono ricostruite da Maurizio Varamo e Anna Biagiotti.
Théatre du Chatelet, 18 maggio 1917. A Parigi debutta Parade, opera manifesto che sconvolge l’estetica del balletto, entrando di diritto nella storia dell’avanguardia. Il lavoro nasce in Italia, dai geni incrociati di Pablo Picasso, Jean Cocteau, Léonide Massine ed Erik Satie, ed è ambientato in una Parigi dal sapore circense, con in scena una giovane americana, un mago cinese e due acrobati, a cercare di catturare l’attenzione di spettatori con una danza moderna e sfacciata, a tratti quasi volgare nella sua vocazione a ritrarre la natura umana nei suo gesti e atteggiamenti quotidiani, nel tentativo di lasciar fuori il suono scuro della guerra in corso. Picasso recupera il tema del circo a lui caro per il famoso sipario del balletto, con scenografia e costumi non convenzionali. E Satie rilancia con la stessa moneta, in musica. Napoli e Pompei al centro del cuore di Pulcinella, che Léonide Massine crea sulle note di Igor Stravinskij, atto unico di un balletto che insegue la lingua danzante e porosa dei vicoli e dei mercati vesuviani, ruba la gestualità esasperata dal teatro delle marionette, subisce l’incantamento della città antica di Pompei e della grande tradizione della Commedia dell’Arte. Pulcinella, va in scena per la prima volta il 15 maggio del 1920 al Teatro dell’Opéra di Parigi. Anche in questa occasione Picasso trae ispirazione da quel viaggio del 1917, evocando la maschera studiata su testi della Biblioteca Nazionale di Napoli mentre Stravinskij realizza una musica rielaborata in chiave moderna attingendo a pagine che all’epoca si credevano autenticamente di Giovanni Battista Pergolesi e che la ricerca musicologica ha successivamente dimostrato essere in gran parte di Domenico Gallo e di altri autori (solo nove dei diciotto pezzi scelti dal compositore sono attribuibili allo jesino). Massine sa che la maschera indossata dal suo protagonista può essere un ostacolo e così crea una coreografia che non si ferma al gesto pantomimico ma ridisegna il corpo dei danzatori come vene continuamente attraversate da sangue vivo. Sarà lui stesso ad interpretare per primo questo ruolo. Picasso accetta la sfida: le sue scene abbondano di scomposizioni in rettangoli, quadrati e trapezi, omaggio alle geometrie e tinte del cubismo, contraltare ordinato al cromatismo brillante dei costumi. Allora come ora capiamo come questa esperienza artistica abbia scompaginato i codici di lettura e stile nella danza «le idee di non pochi spettatori. Certo, saranno sorpresi, ma assai piacevolmente, e incantati, impareranno a conoscere tutta quella grazia dei movimenti moderni che avevano sospettato», profetizza Apollinaire. Rimane nei carteggi anche il senso di un viaggio, dentro le viscere di una grande scuola artistica che mischia alto e basso, colto e popolare, rifiutando l’ospitalità di fredde scaffalature di genere. Il 21 aprile in una cartolina a Cocteau Picasso confessa: «Cantiamo canzoni napoletane. E siamo molto felici».