Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Un errore da 100 milioni»
Marrama: mai chiesti i danni al Tesoro per la vendita del vecchio Banconapoli
A rivelarlo è direttamente il presidente della Fondazione Banco di Napoli, Daniele Marrama: «Per un errore dobbiamo dire addio a un eventuale risarcimento danni da 100 milioni di euro. Purtroppo, infatti, sono caduti in prescrizione i termini per adire le vie legali, da parte della Fondazione di cui sono alla guida solo dal luglio 2013, contro un ipotetico danno causato dalla discutibile asta competitiva d’acquisto del vecchio Banco di Napoli».
La notizia è clamorosa e la fornisce una fonte diretta, il presidente della Fondazione Banco di Napoli, Daniele Marrama: «Le eventuali pretese della Fondazione di cui sono alla guida solo dal luglio 2013, e mi riferisco a un eventuale danno subito a causa della discutibile asta competitiva per l’acquisto del vecchio Banco di Napoli, purtroppo sono cadute in prescrizione». Questo significa che l’allora proprietaria del 60% dell’ex istituto di credito di via Toledo «non potrà più chiamare in causa il Mef per far valere una richiesta di risarcimento che stimo intorno ai 100 milioni di euro. Resta percorribile, però, un’azione per tutelare il diritto contemplato nell’articolo 2 del decreto 497/96 (il cosiddetto salva Banco). Cosa che farò nei prossimi giorni con una lettera di diffida indirizzata al ministero». Poi, Marrama precisa: «Volevo rassicurare tutti che la mia attenzione sulla questione è massima, che non sono timido e non ho la tendenza all’inerzia. Ma affronto la vicenda come professore di diritto e avvocato».
Presidente, come mai dice che i diritti della Fondazione nei confronti del Tesoro sono caduti in prescrizione?
«Negli anni precedenti alla mia presidenza, i vertici della Fondazione hanno inviato richieste di interruzione dei termini di prescrizione alla Consob e alla Banca d’Italia, aventi ad oggetto esclusivamente contestazioni legate ad un’ipotetica non corretta vigilanza. Una vigilanza che, tra l’altro, un esperto come Adriano Giannola ha sempre affermato che fosse avvenuta in maniera corretta, sostenendo che l’ispezione che fece emergere il “buco” del Banco, alla quale era lui stesso presente, non fu “calcata”».
Una procedura errata, dunque?
Ma il Ministero non risponde in solido con Consob e Banca d’Italia?
«Sì, ma a causa dell’errore il ministero risponde solo per la corretta vigilanza. Ripeto, non è mai stata operata l’interruzione dei termini con specifico riferimento ai danni subìti dalla Fondazione in seguito all’asta competitiva con cui Bnl e Ina acquistarono il Banco di Napoli. Rispetto cioè al cuore del problema, che per la Fondazione significa un possibile danno di 100 milioni di euro. Cifra che si ottiene calcolando la differenza tra i 60 miliardi circa di lire pagati da Ina e Bnl e i 400 miliardi offerti alla stessa asta da Mediocredito. Offerta che non venne presa in considerazione per un errore
formale; procedura verso la quale la Fondazione avrebbe potuto ricorrere. E siccome il nostro istituto deteneva il 60% della proprietà del Banco, si arriva a un potenziale danno da 200 miliardi di lire circa».
Quindi eventuali pretese di diritti oggettivi esistenti, non sono più operabili?
«L’azione di indebito arricchimento di cui parlano giuristi come il professor Fausto Capelli, non è più percorribile. E tra l’altro vorrei specificare che io non ho mai incaricato il professore stesso di approfondire questa vicenda per conto della Fondazione».
Ma esiste un mandato affidato a un altro consulente?
«Ho incaricato Francesco Barachini,
professore di diritto Commerciale a Pisa, che però non si è ancora formalmente espresso».
Nel frattempo cosa intende fare la Fondazione?
«Entro pochi giorni invieremo al ministero delle Finanze un atto di diffida, col quale intendiamo tutelare la nostra eventuale aspettativa di indennizzo, così come stabilita dall’art. 2 del decreto 497/96. Sino ad oggi, a partire dal decreto del maggio scorso, il Mef non ha manifestato di tenere in considerazione questo articolo. C’è necessità di chiarezza che va pacificamente affrontata.
Cosa prevede quell’articolo?
«Stabilisce che quando la Sga avrà terminato il recupero dei crediti e sarà messa in liquidazione, dovrà essere fatto un conto tra ciò che lo Stato ha speso per sostenere l’attività della Sga e ciò che ha ricevuto dalla vendita del Banco e dagli utili della medesima società di gestione. Se il saldo dovesse essere attivo, gli eventuali utili dovrebbero essere distribuiti pro-quota agli ex azionisti».
Ma ora la Sga è il principale azionista di «Atlante2», il fondo con cui il governo ha deciso di salvare Mps, e potrebbe non essere messa in liquidazione.
«L’articolo 2 prevede che il conto venga fatto alla fine delle operazioni di recupero. Manca ancora l’8%. Tuttavia mi sarei aspettato che, nel momento in cui si predisponeva un passaggio di azioni, almeno nella relazione illustrativa ci fosse un passaggio che ricordasse questa eventualità di indennizzo in capo alla Fondazione in quanto ex azionista. Cosa che non c’è stata. Mi aspetto che a breve venga messo un punto definitivo sulla questione».
Negli anni precedenti alla mia presidenza, i vertici della Fondazione hanno inviato richieste di interruzione dei termini di prescrizione per un’ipotetica non corretta vigilanza Invece si doveva far riferimento ai possibili danni subiti in seguito all’asta di vendita dell’istituto