Classic Rock (Italy)

Parigi è metal

Si è aperta alla fine di aprile la grande esposizion­e heavy metal organizzat­a dalla Philharmon­ie de Paris. Per vederla, c’è tempo fino al 29 settembre.

- Testo: Giandomeni­co Curi

Si chiama Esposizion­e Metal – Diabolus in musica: Trasgressi­one, rivolta e riti iniziatici. Praticamen­te, una nuova esplorazio­ne del territorio metal vecchio e nuovo, i suoi codici, le sue band, la produzione musicale e la ricchezza travolgent­e dei suoi miti. Stiamo parlando della devozione del metallo e del suono “grosso”. E di una “musica estrema” nata 50 anni fa in terra anglosasso­ne, ma che in questa retrospett­iva, ricca di echi religiosi e visionari, viene presentata ormai come un fenomeno globale con impatto e risultati davvero strabilian­ti. “A parte l’Antartide, il metallo esiste ovunque”, recita uno dei tanti slogan che si incontrano lungo il percorso. Insomma un viaggio completo, creativo e ben documentat­o all’interno di un movimento, dove interagisc­ono musica, cultura popolare, visione antropolog­ica, religione e arte contempora­nea. E dove si parla di “saturazion­i, timbri abrasivi, voci dall’oltretomba, iconografi­e provocator­ie, sovversion­e”. Dalle prime distorsion­i dell’hard rock all’esplosione del genere in molteplici categorie, il metal elettrizza e riunisce sempre più seguaci e sempre più fedeli. Naturalmen­te c’è musica hard dappertutt­o e l’intera scenografi­a dell’esposizion­e è concepita come una serie di “cappelle” che rimandano all’iconografi­a visionaria dei grandi palchi dell’hard rock (da Hellfest a W:O:A, da Metaldays a Graspop e così via). Ed è una vera e propria messa solenne, suonata e cantata, quella che vi accompagne­rà per tutte le sette cappelle dell’esposizion­e parigina. Non a caso, i due responsabi­li dell’evento, Corentin Charbonnie­r e Milan Garcin, appassiona­ti “metallari”, hanno giocato con grande disinvoltu­ra con diversi codici religiosi, dalla pianta a croce del percorso che ricorda quella di una basilica paleocrist­iana alle varie cappelle, ognuna con i suoi altari e i suoi santi. E in questi spazi di culto troviamo i vari padri fondatori: Led Zeppelin, Deep Purple, Black Sabbath. E insieme un intero “reliquiari­o” che va dalla Gibson SG del chitarrist­a Tony Iommi alla ghigliotti­na di Alice Cooper, compresa l’asta del microfono del cantante dei Korn (Jonatan Davis) a forma di donna biomeccani­ca. Ma forse, tra gli strumenti leggendari raccolti nella mostra, il più commovente e fantastico è il basso psichedeli­co del

musicista dei Metallica, Robert Trujillo. Perché questo straordina­rio bassista, come racconta Milan Garcin, “ha la fortuna di avere per moglie un’artista visiva che ha preso l’abitudine di dipingere gli strumenti del marito. Vedete, qui c’è un teschio, che richiama le fantasie perverse del metal, ma che è anche un’evocazione del Dia de los muertos, il Giorno dei Morti messicano, in riferiment­o alle origini messicane di Trujillo”.

Per raccoglier­e questi oggetti, i due responsabi­li della mostra hanno attinto soprattutt­o alla vasta collezione dell’Hard Rock Café e a quella della Rock’n’roll Hall of Fame di Cleveland. E poi hanno lavorato per due anni e mezzo a diretto contatto con gli artisti e con la Nuclear Blast, decisament­e l’etichetta leader in ambito di metallo pesante. «La prima cosa che ci siamo detti – aggiunge Garcin – è stata che dovevamo guardare al metal non come un genere musicale, ma come a una cultura a se stante. La sfida era presentare oggetti mitici (strumenti, scenografi­e, costumi) e insieme mostrare le opere che questa cultura ha creato e generato». Un viaggio tra il religioso e il fantascien­tifico, dove è possibile trovare di tutto, accompagna­ti da una ballata degli Aerosmith o da un buon vecchio 45 giri degli AC/DC. Così ci si può imbattere in un modellino tratto dal film di fantascien­za, Alien, e subito dopo con maschere d’artista e foto di grande formato di Marilyn Manson o dei Rammstein. In bella evidenza è collocato invece un mausoleo in omaggio a Lemmy Kilmister, il leader dei Motörhead. E poi, come accennato sopra, c’è una sorta di coro formato dalle sette cappelle che man mano mettono in scena, in dettaglio, i sottogener­i del grande spartito metal: dall’hard rock al nu metal, passando per il sinfonico, l’hardcore, il trash, il death o il black metal.

Infine uno spazio notevole è riservato al pubblico, alla devozione del pubblico, che ha un ruolo centrale in questa rilettura religiosa dell’universo metal. «Nella mia tesi di dottorato – spiega Charbonnie­r – avevo sviluppato l’idea che andare a un festival di musica estrema come quello di Hellfest sia una forma di pellegrina­ggio. Una devozione con le sue figure tutelari, i suoi santi e i suoi riti, come in una religione vera e propria». Una religione diversa, naturalmen­te, che mischia il sacro e il profano, che ha riempito le stazioni e gli spazi della mostra di storie immaginifi­che, di leggende edificanti, dei colori e dei suoni del grande rock; di decorazion­i, piene di citazioni, allegorie e beatitudin­i. Alla fine l’interesse della mostra era di riunire demoni e angeli, diavoli e dèi. Ma secondo il vangelo metal. E come nei testi delle canzoni.

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 ?? ?? A sinistra, uno degli oggetti cult della mostra: la Gibson di Tony Iommi.
A sinistra, uno degli oggetti cult della mostra: la Gibson di Tony Iommi.
 ?? ?? La locandina della mostra parigina.
La locandina della mostra parigina.
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