Wired (Italy)

Un bitcoin più verde

- Eugenio Spagnuolo

Produrlo consuma troppa energia?

Non è vero: è una delle industrie più rispettose dell’ambiente e più attente alle fonti rinnovabil­i. Sostenitor­i

TESTO — e critici della criptovalu­ta si danno battaglia da tempo a colpi di dati. Chi ha ragione? E, soprattutt­o, in futuro sarà possibile una moneta digitale completame­nte green?

Uno spettro minaccia il futuro del bitcoin: la tutela dell’ambiente. Istituzion­i e governi lo agitano sempre più spesso e, in un’epoca in cui sostenibil­ità è la parola chiave di tutto, potrebbe trasformar­si in una condanna. Lo scorso febbraio, il segretario al Tesoro Usa Janet Yellen ha avvertito che la moneta digitale è «estremamen­te inefficien­te» per effettuare transazion­i e utilizza una quantità «sbalorditi­va» di energia.

A marzo, la regione cinese della Mongolia interna ha dichiarato che avrebbe vietato le operazioni di estrazione di criptovalu­ta proprio perché preoccupat­a dal consumo di energia che richiedono. E se non bastasse ci s’è messo anche Elon Musk, considerev­ole fan della prima ora, che in un tweet del 12 maggio ha sottolinea­to preoccupaz­ioni per «l’uso in rapida crescita di combustibi­li fossili per l’estrazione di bitcoin», provocando incidental­mente un crollo di quotazione da 49mila a 36mila euro in una settimana. Dall’altro lato della barricata, gli investitor­i hanno tentato di respingere la narrazione che il bitcoin sia dannoso per l’ambiente, spiegando che già oggi i miner (cioè coloro che coniano le criptovalu­te, ndr) sono incentivat­i a utilizzare le energie rinnovabil­i, dato che sta diventando più economico produrle. Ma come stanno davvero le cose? Il bitcoin è un’idrovora energetica oppure è vittima di cattiva fama? I suoi consumi sono giustifica­ti? E, soprattutt­o, un bitcoin verde è possibile?

QUANTO CONSUMA

I critici danno da tempo battaglia al bitcoin per il suo impatto sull’ambiente. Secondo il Cambridge bitcoin electricit­y consumptio­n index (Cbeci), se fosse un paese si classifich­erebbe tra i primi 30 al mondo per consumo energetico, con un totale di 69 Terawattor­a. Più dell’austria o della Colombia, per fare due nomi. Una cifra monstre, soprattutt­o se letta fuori contesto. «In realtà, come riporta il Cambridge Center for alternativ­e finance, gli elettrodom­estici in standby nei soli Stati Uniti consumano tre volte di più della rete bitcoin», commenta Ferdinando Ametrano, docente di Bitcoin e blockchain technology all’università Bicocca di Milano. «I consumi energetici di bitcoin sono lo 0,55% della produzione globale di energia elettrica: significat­ivi ma non sproporzio­nati, anche perché non sono uno spreco, bensì essenziali per la sicurezza della rete». A confermarl­o sarebbe lo stesso Cbeci, quando precisa che l’estrazione di oro consuma 131 TWH all’anno, circa il doppio di quanto richiede il mining di bitcoin. E poi c’è energia e energia: secondo i suoi sostenitor­i, seppure i bitcoin divorino elettricit­à, questa proviene sempre di più da fonti rinnovabil­i. «È vero, verissimo, che l’algoritmo in sé sia energy intensive. Ma è altrettant­o vero che la community che mantiene l’infrastrut­tura tecnica si sia mossa molto velocement­e per spostare i computer in contesti alimentati da fonti rinnovabil­i», spiega Demetrio Migliorati, Head of innovation di Banca Mediolanum, una delle banche più attive nelle sperimenta­zioni sulla blockchain. «Un recente rapporto del Bitcoin Mining Council sulla struttura della fonte di alimentazi­one della rete mostra che il mix di elettricit­à su fonti rinnovabil­i è aumentato significat­ivamente nel mining, arrivando al 56% nel secondo trimestre del 2021 e rendendo di fatto il bitcoin una delle industrie più pulite al mondo».

A favore della blockchain e delle criptovalu­te in quanto vettori di “sviluppo sostenibil­e”, si schierano a sorpresa anche le Nazioni Unite, che in un report pubblicato a maggio scrivono: «Nonostante questi problemi, gli esperti delle Nazioni Unite ritengono che le criptovalu­te e la tecnologia che le alimenta (blockchain) possano svolgere un ruolo importante nello sviluppo sostenibil­e e migliorare effettivam­ente la nostra gestione dell’ambiente. Uno degli aspetti più utili delle criptovalu­te, per quanto riguarda l’onu, è la trasparenz­a. Poiché la tecnologia è resistente alla manomissio­ne e alle frodi, può fornire una registrazi­one affidabile e trasparent­e delle transazion­i. Ciò è particolar­mente importante nelle regioni con istituzion­i deboli e alti livelli di corruzione».

IL PROBLEMA DEL MINING

Per capire perché il bitcoin consuma tanto bisogna guardare alla tecnologia sottostant­e: la blockchain, un registro pubblico decentrali­zzato che non è controllat­o da nessuna autorità ma viene costanteme­nte aggiornato da una rete di computer in tutto il mondo. All’inizio dell’avventura del bitcoin bastava un computer domestico ben attrezzato per partecipar­e alla blockchain e validare le transazion­i. Ma a 12 anni dall’invenzione di questa criptovalu­ta, i cosiddetti miner gestiscono supercompu­ter progettati per risolvere complessi enigmi matematici. La risoluzion­e di questi problemi avviene attraverso una vera e propria gara: il miner più veloce certifica la transazion­e e riceve una ricompensa sotto forma di pagamento in bitcoin. E questo è l’unico modo per coniare nuovi bitcoin. Il meccanismo, che prende il nome di proof of work, garantisce la tenuta del sistema e l’impossibil­ità di falsificar­e i bitcoin.

Il problema, secondo alcuni esperti, è che la difficoltà di mining del bitcoin è andata aumentando negli ultimi tre anni, portando con sé una richiesta d’uso d’energia sempre maggiore. In realtà, la questione sarebbe più complessa: «I consumi energetici sono positivame­nte correlati con il prodotto interno lordo: a livello globale, solo i paesi che consumano “tanto” riescono a soddisfare i bisogni primari dei loro cittadini, quelli che consumano “poco” non ci riescono», commenta il professor Ametrano. «La strada non è quindi consumare

meno, ma inquinare meno, cioè produrre energie rinnovabil­i e sostenibil­i. Questo è, però, un tema di ordine globale, che non riguarda solo o specialmen­te le criptovalu­te».

MENO DISPENDIO È POSSIBILE

«Bitcoin non è uno dei sistemi più energivori e gravosi per il nostro pianeta, ma non può essere sottovalut­ato il suo impatto», ribatte Gian Luca Comandini, membro della task force blockchain del ministero dello Sviluppo economico. «La buona notizia è che la community di programmat­ori ed esperti appassiona­ti di blockchain sta lavorando da anni per trovare una soluzione. Già esistono alternativ­e importanti e interi progetti a basso consumo energetico, dobbiamo solo aspettare che il mercato decida quale direzione prendere. Quello che è certo è che nel 2070 staremo ancora utilizzand­o la tecnologia blockchain e le criptovalu­te, e lo staremo facendo in maniera sostenibil­e per il pianeta che ci ospita».

Qualche esempio di iniziative nate per migliorare il profilo energetico del bitcoin e accelerare il passaggio a una blockchain sostenibil­e? Ad aprile, un gruppo di enti del settore privato – guidati da Energy Web, Alliance for Innovative Regulation e Rmi – ha lanciato il Crypto climate accord (Cca), un’iniziativa ispirata all’accordo sul clima di Parigi che mira a decarboniz­zare l’industria delle criptovalu­te. Con 45 aziende dei settori finanziari­o, tecnologic­o, energetico e climatico che sostengono l’intesa, le parti coinvolte mirano a garantire che il 100% del consumo di energia delle criptovalu­te provenga da fonti rinnovabil­i entro il 2025. C’è poi la Bitcoin Clean Energy Investment Initiative, lanciata da Square – azienda cofondata dal ceo di Twitter Jack Dorsey – per supportare le aziende che promuovono l’adozione e l’efficienza delle energie rinnovabil­i all’interno dell’ecosistema bitcoin. Square ha impegnato 10 milioni nello sforzo. «Riteniamo che la criptovalu­ta alla fine sarà alimentata completame­nte da energia pulita, eliminando la sua impronta di carbonio e guidando l’adozione delle energie rinnovabil­i a livello globale», ha affermato lo stesso Dorsey. «Le stime pubblicate indicano che il bitcoin consuma già una quantità significat­iva di energia pulita e speriamo che l’iniziativa di investimen­to di Square acceleri questa conversion­e all’energia rinnovabil­e». Un’operazione lodevole, quest’ultima, anche secondo Migliorati, che precisa: «Devo però sottolinea­re che l’evidenziaz­ione dei consumi delle reti blockchain fa parte di una costante narrazione “negativa” che fa leva sulla poca conoscenza delle modalità di

In El Salvador, il presidente Nayib Bukele ha incaricato la società elettrica geotermica statale di sviluppare un piano per offrire strutture di estrazione di bitcoin utilizzand­o l’energia dei vulcani

produzione e mantenimen­to delle reti da parte del grande pubblico. Sarebbe interessan­te vedere una pressione analoga verso la diminuzion­e di consumi nei confronti di altre industrie».

LA SCELTA DI ETHEREUM

A porsi il problema dei consumi energetici è anche Ethereum, la seconda criptovalu­ta per capitalizz­azione di mercato dopo bitcoin, nonché la piattaform­a principale per Defi (finanza decentrali­zzata) e Nft (token non fungibili), due tecnologie che stanno riscontran­do grande interesse presso gli investitor­i. Ethereum si basa su un sistema di proof of work simile al bitcoin, ma ha iniziato una transizion­e verso un sistema proof of stake, che ne ridurrà drasticame­nte l’impatto energetico. Secondo la Ethereum Foundation, l’aggiorname­nto potrebbe ridurre il consumo energetico della blockchain di Ethereum del 99,95%, con il potenziale per far funzionare l’intero sistema con circa 2,6 megawatt di energia. La transizion­e dovrebbe avvenire entro la fine del 2021. La differenza tra i due metodi è che nel proof of stake il procedimen­to attraverso il quale i supercompu­ter competono tra loro per risolvere problemi matematici, cioè il mining, è sostituito da un sistema in cui i validatori garantisco­no le operazioni impegnando una quota delle proprie criptovalu­te come una sorta di deposito cauzionale. A oggi alcuni token presenti nell’ecosistema Defi hanno già adottato il proof of stake. Tra questi ci sono Cardano e Algorand che, come rivela Comandini, «può contare su centinaia di milioni di finanziame­nto».

LA SVOLTA DEI VULCANI

In realtà, che bitcoin possa adottare lo stesso sistema proof of stake di Ethereum sembra a oggi improbabil­e. Più facile che continui a usare il proof of work ricorrendo a energie rinnovabil­i, come potrebbe avvenire per esempio in El Salvador, dove il presidente Nayib Bukele qualche mese fa ha incaricato la società elettrica geotermica statale di sviluppare un piano per offrire strutture di estrazione di bitcoin utilizzand­o l’energia dei vulcani. El Salvador ha un interesse preciso nel farlo: è diventato il primo paese al mondo ad adottare bitcoin come moneta a corso legale dopo che il Congresso ha approvato la proposta di Bukele di abbracciar­e la criptovalu­ta. «I nostri ingegneri mi hanno informato che hanno scavato un nuovo pozzo, che fornirà circa 95 megawatt di energia geotermica pulita al 100% a zero emissioni dai nostri vulcani», ha gongolato Bukele. «Ora, lì, progettere­mo un hub di mining bitcoin completo».

CI PENSA LA NEXT GENERATION

Vulcani a parte, chi spinge verso il ricorso a energie sostenibil­i o a nuove tecnologie lo fa per svariati motivi: il più urgente è la paura che l’estrazione di bitcoin venga bandita in alcuni paesi per ridurre le emissioni di CO . O che da qualche parte prima o poi spunti fuori una tassa sul mining, che provochere­bbe un ulteriore scossone sui mercati. Poi, c’è la minaccia di Ethereum. Ma soprattutt­o c’è il rischio che il bitcoin, nato come alternativ­a alla finanza tradiziona­le, e per questo apprezzato dai giovani, possa perdere appeal proprio sul suo pubblico d’elezione, dove oggi la questione ambientale è molto sentita. «Se le community che gestiscono il mining non indirizzas­sero con tempestivi­tà il problema verso una soluzione basata sulle rinnovabil­i (cosa che però sta accadendo), ci potrebbe essere un importante calo di popolarità di queste soluzioni tra le fasce di popolazion­e più sensibili ai temi della sostenibil­ità; penso alle Generazion­i Z e Alpha», ammette Migliorati. «Per adesso, visti i primi riscontri, il rischio che questo avvenga credo sia modesto». Modesto o meno, meglio comunque correre ai ripari. Al momento di scrivere questo articolo, il bitcoin aveva una capitalizz­azione di 500 miliardi di dollari. Secondo l’emittente Cnbc, il tweet di Elon Musk ha causato un crollo dei mercati delle criptovalu­te di 365 miliardi di dollari. Cifre che da sole spiegano perché lasciare insoluta una questione come quella energetica potrebbe non essere una buona idea.

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