Corriere della Sera

Mika: canto la mia rinascita

Il cantautore chiude oggi la sua tournée al No Borders Music Festival «Finalmente il pubblico italiano è entrato nel mio mondo D’ora in poi non avrò mai più paura di essere me stesso»

- Barbara Visentin

Il rapporto di Mika con l’Italia è lungo e consolidat­o. Eppure solo con il tour di quest’estate, che si chiude oggi al No Borders Music Festival, lo showman si è sentito «scoperto» dal pubblico, inondato da un’energia forte e profonda.

Com’è andata?

«È stata una bella sorpresa. Ho avuto la sensazione che le persone scoprisser­o adesso la mia maniera di comunicare sul palco perché prima non c’era stata l’opportunit­à di farlo. Magari mi avevano visto in tv, ma la tv è un’altra cosa». Cosa succede sul palco? «C’è l’eclettismo della mia musica: si ride, si piange, si salta come a un rave a Ibiza, e per me questo mix di serio, assurdo, ironia ed emozione è molto importante. Così per la prima volta il pubblico italiano è entrato nel mio mondo, so che è strano perché ho fatto tanti concerti qua. Ma i palasport sono diversi dai festival estivi».

È stata una rinascita?

«Assolutame­nte e ha cambiato il mio rapporto con questo Paese, lo dico senza esagerare. Finalmente in Italia ho potuto ritrovare l’energia che trovo ai festival in Francia, in Asia o in America. Questo cambierà la mia maniera di comunicare con l’Italia, in tutti gli aspetti».

In che modo?

«Non avrò mai più paura di essere me stesso».

È diventato virale un suo duetto con una ragazza cieca che era al concerto di Matera: che legami si sono creati col pubblico?

«Ci sono stati momenti pazzeschi. Ai miei concerti c’è la tradizione di portare cartelli con domande, messaggi e richieste. Nel suo caso non ho capito che lei non vedesse finché non è arrivata sul palco e duettare è stato molto intenso. Ma poi ci sono state persone che sono venute a suonare o ballare, altre con look identici ai miei, un’infermiera ha recitato una poesia. È successo di tutto. A Umbria Jazz ho spostato il pianoforte in mezzo al pubblico 10 minuti prima dell’inizio, e tutto questo ha reso ogni show diverso».

Come cambia il suo modo di stare sul palco in relazione al contesto?

«Cambia tutto: gestualità, vestiti, scaletta. Un concerto come quello di No Borders, alle 14, nel pieno della luce del giorno, porta un senso di infinito. Il pubblico è molto vicino e ci vuole armonia con il luogo. L’artista deve essere sempre provocato e anche questa è provocazio­ne. Si deve arrivare quasi al disagio perché nel disagio c’è più creatività e meno premeditaz­ione. Un contesto naturalist­ico come questo crea una sorta di nudismo spirituale».

No Borders, senza confini: è calzante per lei, cittadino del mondo e artista pieno di contaminaz­ioni?

«Io sono ossessiona­to dai confini perché penso che la creatività e l’arte siano la maniera più poetica e forte di eroderli, scavalcarl­i e smontarli. In un mondo che sta cambiando velocement­e penso che rimuoverli sia una follia, sono lì anche perché si spinga, provochi e contamini da un lato all’altro».

L’idea dei confini richiama quella delle migrazioni.

«Anche lì è impossibil­e pensare di non avere confini, ma la storia dell’essere umano è quella dei suoi movimenti e gli scambi fra i Paesi permettono di far passare luce. Non a caso i momenti più oscuri sono stati quelli in cui i confini erano meno permeabili e sono coincisi con i muri».

Ha raccontato che gli ultimi anni non sono stati facili, a livello artistico e personale. Il peggio è passato?

«Con lo slogan del tour, “may your head always bloom”, avevo lanciato una sfida prima di tutto a me stesso, cioè proprio quella di far fiorire la mia testa. E il fatto che io ora sia in una fase di ricerca è un segnale che forse sì, sta passando. Sento una creatività feroce e due anni fa non avrei potuto dirlo».

Ad agosto compirà 40 anni: come li vive?

«Me ne frego. Se me l’avessero chiesto due anni fa avrei risposto che era un numero importante, ma ora che il mio processo creativo è tornato feroce non ci penso proprio».

Non è una bella età?

«No, è una via di mezzo di m... Non è un numero abbastanza piccolo per sentirsi giovani e naïf e non è abbastanza alto per essere saggi o maturi».

Ma lei come si sente?

«Mi sento un po’ pericoloso, in senso buono. Nel senso in cui tutto è possibile».

Si farà un regalo?

Penso che la creatività e l’arte siano la maniera più poetica e forte di scavalcare e smontare i confini

«Non ho bisogno di un regalo, ma ho trovato una taverna in Grecia in cui si mangia a piedi nudi sulla spiaggia, con marito e moglie in cucina. E questa secondo me, in tutta la sua semplicità (e anche un po’ di scomodità) è la cosa più bella che possa fare».

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Mika, nome d’arte di Michael Holbrook Penniman, 39 anni, è un cantautore e showman nato in Libano e naturalizz­ato britannico
Sul palco Mika, nome d’arte di Michael Holbrook Penniman, 39 anni, è un cantautore e showman nato in Libano e naturalizz­ato britannico

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