Mika: canto la mia rinascita
Il cantautore chiude oggi la sua tournée al No Borders Music Festival «Finalmente il pubblico italiano è entrato nel mio mondo D’ora in poi non avrò mai più paura di essere me stesso»
Il rapporto di Mika con l’Italia è lungo e consolidato. Eppure solo con il tour di quest’estate, che si chiude oggi al No Borders Music Festival, lo showman si è sentito «scoperto» dal pubblico, inondato da un’energia forte e profonda.
Com’è andata?
«È stata una bella sorpresa. Ho avuto la sensazione che le persone scoprissero adesso la mia maniera di comunicare sul palco perché prima non c’era stata l’opportunità di farlo. Magari mi avevano visto in tv, ma la tv è un’altra cosa». Cosa succede sul palco? «C’è l’eclettismo della mia musica: si ride, si piange, si salta come a un rave a Ibiza, e per me questo mix di serio, assurdo, ironia ed emozione è molto importante. Così per la prima volta il pubblico italiano è entrato nel mio mondo, so che è strano perché ho fatto tanti concerti qua. Ma i palasport sono diversi dai festival estivi».
È stata una rinascita?
«Assolutamente e ha cambiato il mio rapporto con questo Paese, lo dico senza esagerare. Finalmente in Italia ho potuto ritrovare l’energia che trovo ai festival in Francia, in Asia o in America. Questo cambierà la mia maniera di comunicare con l’Italia, in tutti gli aspetti».
In che modo?
«Non avrò mai più paura di essere me stesso».
È diventato virale un suo duetto con una ragazza cieca che era al concerto di Matera: che legami si sono creati col pubblico?
«Ci sono stati momenti pazzeschi. Ai miei concerti c’è la tradizione di portare cartelli con domande, messaggi e richieste. Nel suo caso non ho capito che lei non vedesse finché non è arrivata sul palco e duettare è stato molto intenso. Ma poi ci sono state persone che sono venute a suonare o ballare, altre con look identici ai miei, un’infermiera ha recitato una poesia. È successo di tutto. A Umbria Jazz ho spostato il pianoforte in mezzo al pubblico 10 minuti prima dell’inizio, e tutto questo ha reso ogni show diverso».
Come cambia il suo modo di stare sul palco in relazione al contesto?
«Cambia tutto: gestualità, vestiti, scaletta. Un concerto come quello di No Borders, alle 14, nel pieno della luce del giorno, porta un senso di infinito. Il pubblico è molto vicino e ci vuole armonia con il luogo. L’artista deve essere sempre provocato e anche questa è provocazione. Si deve arrivare quasi al disagio perché nel disagio c’è più creatività e meno premeditazione. Un contesto naturalistico come questo crea una sorta di nudismo spirituale».
No Borders, senza confini: è calzante per lei, cittadino del mondo e artista pieno di contaminazioni?
«Io sono ossessionato dai confini perché penso che la creatività e l’arte siano la maniera più poetica e forte di eroderli, scavalcarli e smontarli. In un mondo che sta cambiando velocemente penso che rimuoverli sia una follia, sono lì anche perché si spinga, provochi e contamini da un lato all’altro».
L’idea dei confini richiama quella delle migrazioni.
«Anche lì è impossibile pensare di non avere confini, ma la storia dell’essere umano è quella dei suoi movimenti e gli scambi fra i Paesi permettono di far passare luce. Non a caso i momenti più oscuri sono stati quelli in cui i confini erano meno permeabili e sono coincisi con i muri».
Ha raccontato che gli ultimi anni non sono stati facili, a livello artistico e personale. Il peggio è passato?
«Con lo slogan del tour, “may your head always bloom”, avevo lanciato una sfida prima di tutto a me stesso, cioè proprio quella di far fiorire la mia testa. E il fatto che io ora sia in una fase di ricerca è un segnale che forse sì, sta passando. Sento una creatività feroce e due anni fa non avrei potuto dirlo».
Ad agosto compirà 40 anni: come li vive?
«Me ne frego. Se me l’avessero chiesto due anni fa avrei risposto che era un numero importante, ma ora che il mio processo creativo è tornato feroce non ci penso proprio».
Non è una bella età?
«No, è una via di mezzo di m... Non è un numero abbastanza piccolo per sentirsi giovani e naïf e non è abbastanza alto per essere saggi o maturi».
Ma lei come si sente?
«Mi sento un po’ pericoloso, in senso buono. Nel senso in cui tutto è possibile».
Si farà un regalo?
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Penso che la creatività e l’arte siano la maniera più poetica e forte di scavalcare e smontare i confini
«Non ho bisogno di un regalo, ma ho trovato una taverna in Grecia in cui si mangia a piedi nudi sulla spiaggia, con marito e moglie in cucina. E questa secondo me, in tutta la sua semplicità (e anche un po’ di scomodità) è la cosa più bella che possa fare».