«Non sono tutti uguali Un parametro valido è l’utilizzo di farmaci»
Professor Domenico De Masi, sociologo: l’ipotesi di «esonerare» dal rientro al lavoro gli over 60 sta facendo discutere. Chi ha superato la sessantina deve fare i conti con una ritrovata fragilità...
«La questione è problematica. Impossibile formulare un identikit omogeneo di un sessantenne. Molti cinquantenni hanno affrontato cardiopatie, interventi chirurgici complessi, problemi respiratori. E poi vediamo ottantenni in splendida forma che non hanno avuto mai problemi. Chi è l’elemento a rischio?».
Probabilmente la prospettiva di un esonero dal ritorno al lavoro può piacere a chi svolge attività onerose: per esempio l’autista di un mezzo pubblico, un operaio, chi lavora in ambienti affollati...
«Ma certo. Proprio per questo penso sia difficile immaginare un “taglio lineare”. Ho sempre pensato, ad esempio, che l’età pensionabile dovrebbe essere parametrata tra diverse realtà: un minatore deve avere diritto ad andare in pensione presto. Per i lavori intellettuali, quando l’età porta un accumulo di conoscenza, dovrebbero esserci altre regole».
Ma il tasso di mortalità aumenta dopo i 60 anni. Lo dicono i numeri del Covid-19.
«Un grandissimo numero di decessi, lo sappiamo, riguarda le case di riposo. Propongo un paradosso: prendiamo un numero X di quarantenni, mettiamoli in una struttura chiusa e collettiva con le stesse caratteristiche di una Rsa, e facciamo lo stesso con un identico numero di settantenni. Scommettiamo che il tasso di mortalità non sarebbe diverso?».
Allora, dal punto di vista sociologico, chi è un anziano?
«Esiste un parametro sicuro, il consumo di farmaci. Negli ultimi due anni della sua vita un italiano consuma la
● Domenico De Masi (foto), 82 anni, di Rotello (Campobasso), è professore emerito di Sociologia del lavoro alla «Sapienza» di Roma
● De Masi ha fondato la «S3. Studium», una scuola di specializzazione triennale in scienze organizzative, poi trasformata in società di ricerca e formazione stessa quantità di farmaci che ha utilizzato nel resto della sua esistenza. Quando comincia quel biennio possiamo parlare di “anziano”».
L’italia ha una vita media molto lunga. È davvero un dato positivo?
«In Italia la vita media di un uomo è di 81 anni, di una donna di 86. C’è un dramma: la caducità. Prima della morte un anziano italiano in media deve affrontare quattro anni di decadimento in cui le sue facoltà subiscono una caduta verticale: nel Nord Europa è la metà. In Italia il 50% dei novantenni ha l’alzheimer, in Svezia è di nuovo la metà».
Da cosa dipende?
«Il livello di socializzazione, la possibilità di mantenere contatti e legami, l’attività fisica, la vicinanza con la natura. Per questo è bene riflettere sull’isolamento degli anziani. Se li costringiamo a star chiusi, crescono i pericoli di cui abbiamo parlato. Il grande architetto Oscar Niemeyer è morto a 105 anni e ha progettato fino all’ultimo perché lavorava, frequentava tutti...».
Cosa accadrebbe se i sessantenni fossero «esonerati» dal rientro al lavoro?
«Penso alla scuola, dove un professore su tre ha quell’età. O alla pubblica amministrazione, dove regna la gerontocrazia. Nel mio ultimo saggio, uscito mentre le librerie chiudevano, Lo stato necessario? (Rizzoli) analizzo la mancanza di turnover nella burocrazia. Forse questa stagione potrebbe essere un’occasione irripetibile di snellimento e adesione all’informatizzazione magari partendo proprio da chi ha più di 60 anni, si ritrova ai vertici e può lavorare da casa».
Fiorello sostiene che gli over 60 vanno protetti come i panda. Lei che dice?
«Dico che i 60enni, essendo nell’età della piena maturità, devono certamente proteggersi: ma da soli. Senza che qualcuno decida per loro...».