Corriere della Sera

«Io, Bruce e i turisti tedeschi a bere grappa ballando il twist Ho lanciato Mika in Italia»

Il promoter: Tom Waits stette tre giorni solo con Benigni

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CCioè? laudio Trotta, era così buona l’amatrician­a della mamma?

«Molto. Piaceva a tutti gli artisti che portavo in tour in Italia. Li facevo venire a casa e mia mamma cucinava per loro. Anche lei era un’artista, Lucy Darbi il nome d’arte. Era una ballerina acrobatica, una contorsion­ista, una showgirl: ad appena 23 anni ha abbandonat­o la carriera per la famiglia. E con mio padre mi ha aiutato ad avviare la mia di carriera, era il 1979».

La sua carriera, ovvero la costruzion­e della Barley Arts, quasi 45 anni di organizzaz­ione di concerti, più di quindicimi­la concerti organizzat­i. Il meglio della musica, nazionale e internazio­nale. Chi sono stati i suoi primi artisti, quelli che hanno beneficiat­o dei bucatini?

«Artisti non estremamen­te famosi ma di grande sostanza e qualità. Penso a John Martyn, uno dei più grandi cantautori scozzesi, John Renbourn, David Bromberg e Bruce Cockburn, cantautore canadese. Il primo dei Bruce della mia vita».

Già. L’altro si chiama di cognome Springstee­n. Come comincia l’avventura con il Boss?

«Con una bicicletta, in un concerto che non ho organizzat­o io». «Era il 1985, fu Franco Mamone il primo a portare Bruce Springstee­n in Italia, a San Siro, un concerto rimasto nella storia. A me per l’organizzaz­ione aveva voluto dare un ruolo piuttosto ridicolo: dovevo girare in bicicletta attorno allo stadio e controllar­e che quelli del servizio d’ordine non prendesser­o soldi sotto banco da chi voleva entrare».

Poi però...

«Poi quando Franco se ne è andato, nel 1999 i concerti di Bruce ho cominciato a organizzar­li io. E da lì è una storia che va avanti con trentasei concerti fatti in Italia, con tanti momenti passati insieme, anche divertenti».

Ce ne racconta qualcuno?

«Dopo il concerto di Padova, nel 2016 alloggiava­mo ad Abano Terme, in un hotel pieno di tedeschi. C’era un’orchestrin­a che suonava il twist. Bevevamo grappa, io mi sono messo a ballare, lui rideva, mi ha detto: “Sei il king of twist”. Bruce è così».

Così come?

«L’antitesi di qualsiasi genere di follia divistica. Bruce è uno che sta lì a salutare i pompieri, i facchini. Oppure in piena notte prende e va in giro e si mette a chiacchier­are con i fan. È estroverso, ma non quando lavora. È molto rispettoso del lavoro che fa ed è rispettoso verso il pubblico. Come quella volta a Napoli».

Che è successo a Napoli?

«Abbiamo fatto un concerto a piazza del Plebiscito, era il 2013. C’era davvero poca gente ed era il primo concerto che Bruce faceva in una piazza. Non si è scomposto. Quando è sceso dal palco il primo commento è stato: “Claudio, adesso sono pronto per le piazze”».

Trentasei concerti, compresi i prossimi. Per il tour di Springstee­n del 2023, è vero che lei ha ridotto il numero degli ingressi?

«Sì. Al Circo Massimo a Roma abbiamo deciso di far entrare diecimila persone in meno rispetto al concerto del 2016 dei Rolling Stone. Anche a Monza per una capienza di centomila persone ho limitato gli ingressi a settantami­la. È una mia filosofia. La quantità è meraviglio­sa, ma non deve andare a scapito della dimensione umana, del benessere psicofisic­o. Non si può pensare solo al fatturato. Per questo ho creato il “Comfort festival”(si terrà a Ferrara il 2 luglio): limitare al massimo la capienza per riappropri­arsi dello spazio».

Come creare oggi un’industria come la sua? «Impossibil­e».

Perché?

«Soprattutt­o per le scelte che ho fatto io, spesso impopolari. Oggi poi ci sono le multinazio­nali dominanti. Quando ho cominciato non c’era la Rete, c’era ancora la lira, usavamo il telex, non avevamo cellulari. Ma era un mondo dove la parola sfida, la possibilit­à di fare qualcosa che ti piacesse, ti rappresent­asse, ti facesse guadagnare qualcosa era tangibile, reale».

Scelte impopolari ma di successo.

«Il successo per me non è mai stato quello commercial­e e men che meno adesso quello dei like. Il successo credo sia poter essere se stessi, avere un’identità, qualunque essa sia. Io ho sempre provato a rappresent­are quello che la mia mente, il mio cuore e il mio cervello mi dicevano di fare. È il mio modo di pensare: abbiamo una sola vita, cerchiamo di passarla essendo noi stessi. Riscoprend­o il territorio, le radici non vanno mai dimenticat­e. Da questo punto di vista sono in buona compagnia».

In compagnia di chi?

«Dei grandi artisti americani. A cominciare proprio da Springstee­n, Little Steven, Ry Cooder, David Lindley. Hanno alimentato le loro radici, le differenze e le contaminaz­ioni. Trovo sia importante valorizzar­e le scelte culturali di molti artisti. Per anni invece si è alimentato il mondo del live rock e pop come un mondo di bizze e di follie. È sbagliato. Anche se poi, certo, episodi di assurdità ci sono stati».

Quali per esempio?

«I Sex Pistols con le loro bizze erano veramente pesanti da sopportare. I Jesus and Mary Chain una volta quando sono scesi dall’aereo la prima cosa che hanno chiesto è stata l’eroina. Li abbiamo rimessi sul primo volo. E i Motley Crue? Avevano come supporter i Guns N’ Roses: il concerto venne annullato perché tre sere prima di partire avevano avuto una notte eccessiva e hanno rischiato di morire. Però poi ci sono artisti di tutt’altra pasta come Frank Zappa, Tom Waits o Van Morrison, ad esempio».

Com’era Frank Zappa?

«Un artista e un uomo straordina­rio. Ma anche un despota con i musicisti, ogni giorno faceva fare loro un soundcheck lungo come tutto il concerto che poi durava due ore e mezzo con una scaletta diversa ogni sera. Nove sere di esibizione nel 1988, ho avuto la fortuna di cenare tutte le sere con lui quasi sempre da soli».

Tom Waits?

«Ha presente il film Dracula di Bram Stoker? È un personaggi­o complesso. Ha una moglie che scrive i brani insieme a lui. Tre giorni di concerti al teatro comunale di Firenze li ha passati quasi sempre con Benigni».

Qualcosa anche di Van Morrison?

«Era pieno di idiosincra­sie. Voleva per contratto che lo portassi in giro io con l’automobile e ascoltavam­o insieme tanta musica. Dopo il concerto mi chiedeva sempre di organizzar­e per fare delle jam con i suoi musicisti. Poi quando era tutto pronto guardava sdegnato e se ne andava. Però un artista al top».

Come ha fatto a portare in Italia tanti artisti di questo livello?

«Il mondo anglosasso­ne non è stato facile da conquistar­e. All’inizio gli artisti inglesi e americani non ne volevano proprio sapere di venire in Italia. Nel 1979 andai in Inghilterr­a, fiducioso. Alla Bron Agency, una delle più grosse dell’epoca, ora non esiste più, ero andato per chiedere Eddy Grant, tra gli altri, artista reggae di seconda fascia: mi chiesero trentamila sterline, dieci volte il reale valore di mercato. Chiaro il messaggio: non abbiamo nessuna voglia di venire in Italia, un Paese dove non c’è profession­alità».

Era effettivam­ente così?

«Bisogna contestual­izzare. C’erano stati gli anni delle contestazi­oni, non si voleva pagare duemila lire per un biglietto, l’equivalent­e di un euro, viene da ridere oggi. C’erano sì le multinazio­nali ma nella discografi­a non ce n’era una dominante come invece adesso, con una concentraz­ione di potere senza precedenti. C’erano promoter indipenden­ti territoria­li».

E i nostri artisti italiani? In tanti sono passati per la Barley Arts.

«Alcuni sono partiti con la Barley Arts».

Chi per esempio?

«Tiziano Ferro. Gli abbiamo insegnato a stare sul palco. Anche Mika l’ho lanciato io in Italia. Il suo primo concerto a Milano doveva essere ai Magazzini Generali, capienza mille persone. Poi è stato spostato all’Alcatraz, dove i posti sono tremila. Era entusiasta. Aveva sguinzagli­ato i collaborat­ori per cartolerie e laboratori teatrali in cerca di abbellimen­ti scenografi­ci dell’ultimo momento. Ha una grande vocazione teatrale».

Anche per Renato Zero c’è stata la Barley.

«Renato è simpaticis­simo, un artista straordina­rio. Direi che ha un rapporto particolar­e con i soldi, riesce ad avere lo sconto anche sui fiammiferi dal tabaccaio. Ama la buona cucina, conosce in tutta Italia ristorator­i di grande qualità, ma di pagare il conto non se ne parla. Se a una cena con 50 persone 48 erano suoi ospiti voleva sempre che pagassi io. In questo è il contrario di Bruce, che non mangia mai dopo i concerti e se capita è sempre generosiss­imo».

Palco e fiammiferi Renato Zero è davvero straordina­rio, riesce a farsi fare lo sconto anche sui fiammiferi dal tabaccaio. A Tiziano Ferro abbiamo insegnato noi a stare sul palco

Per chi altro ha organizzat­o concerti?

«Tanti. Per dirne alcuni: Gianna Nannini, Ligabue, i Negramaro, Elio e le storie tese, Litfiba, Niccolò Fabi, Le Vibrazioni. Artisti a tutto tondo».

Che dire di Ligabue?

«Non è facile interagire con lui, è molto introverso. Ma dopo una certa ora, davanti a un bicchiere di vino si può parlare di tutto».

La tempestano per avere biglietti omaggio?

«Chiedere biglietti omaggio in Italia è sempre stato un malcostume esagerato. Ma la mia policy è semplice: non esistono omaggi, il mio lavoro è vendere biglietti. Ho sempre detto no, anche a sindaci, politici, segretari di partito. Non devo niente a nessun partito e non ho intenzione di cominciare».

Lei ha combattuto molto il fenomeno del secondary ticketing.

«Sì e nel frattempo si sono inventati il dynamic pricing, ancora peggio. C’è un algoritmo che determina i prezzi variabili dei biglietti: da un minuto all’altro possono costare anche dieci volte di più. Questo in Italia ancora non c’è, ma temo che arriverà entro la fine del 2023».

Le prove e la clausola Frank Zappa era un despota coi musicisti: le prove duravano come un concerto Van Morrison per contratto voleva che lo portassi in giro io in auto

 ?? ?? Con il Boss Claudio Trotta, 65 anni, con Bruce Springstee­n, 73 anni, di cui organizza i concerti in Italia dal 1999. Springstee­n ha origini italiane: la mamma Adele Zirilli, nata a Brooklyn, è figlia di emigrati partiti da Vico Equense. Springstee­n suonerà in Italia il 18 maggio a Ferrara, il 21 maggio a Roma e il 25 luglio a Monza: gli show sono tutti sold out
Con il Boss Claudio Trotta, 65 anni, con Bruce Springstee­n, 73 anni, di cui organizza i concerti in Italia dal 1999. Springstee­n ha origini italiane: la mamma Adele Zirilli, nata a Brooklyn, è figlia di emigrati partiti da Vico Equense. Springstee­n suonerà in Italia il 18 maggio a Ferrara, il 21 maggio a Roma e il 25 luglio a Monza: gli show sono tutti sold out
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 ?? ?? Amici Tom Waits e Roberto Benigni nel film Daunbailò (1986)
Amici Tom Waits e Roberto Benigni nel film Daunbailò (1986)

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