Ruderi ricomposti per ridare dignità al Ticino diroccato
L’iniziativa di un architetto che, aiutato da volontari, ricompone edifici diroccati in Val Malvaglia
Per Martino Pedrozzi tutto iniziò da un impulso: ‘Così ridiamo dignità a quei testimoni di un Ticino che non c’è più’.
Chissà di quante fatiche e quanta vita potrebbero raccontare, quelle pietre che capita d’incontrare durante un’escursione sui monti. Pietre crollate e ridotte a poco più di un ammasso, un tempo stalle o case; testimoni di un passato in cui il pane si guadagnava più in montagna che sul piano. È stato uno di questi mucchi di sassi a saltare all’occhio a Martino Pedrozzi (architetto e insegnante all’Accademia di Mendrisio), nel 1994, durante i lavori di ristrutturazione di una cascina nella zona di Sceru, in Val Malvaglia. Era una rovina abbandonata, «non figurava nemmeno sul registro fondiario e in alcune foto aeree degli anni Trenta era già in quello stato». Un mucchio di sassi. E un impulso. «È stato un istinto partito dal desiderio, in sé non razionale, di sistemare quei sassi apparentemente insignificanti, ma che hanno avuto un’importanza e una funzione e sono stati elementi cardine di un certo tipo di economia povera su cui si basava la sopravvivenza delle persone nelle valli». È solo sei anni più tardi, nel 2000, che in compagnia dell’amico fotografo Pino Brioschi, in un giorno ridà la forma originale a quel mucchio di sassi. «Abbiamo raccolto le pietre crollate e le abbiamo spostate all’interno del perimetro originale dei muri, che in parte esisteva ancora. Non è una ristrutturazione come si fa con cascine e stalle per ricavarne abitazioni secondarie. Noi non abbiamo dato una nuova funzione allo stabile: ne abbiamo ripristinato, appunto, l’impronta originale. Così, in un certo senso gli abbiamo dato ‘sepoltura’». Ridare forma a un mucchio indistinto di sassi è un modo per rendere dignità a questi testimoni di un certo Ticino che fu. Il secondo ripristino arriva dopo più di un decennio, nel 2013, sempre a Sceru: «Ed è stato più impegnativo. Lo stabile era più grande e ci abbiamo lavorato tre giorni in tre: io, mio figlio e un amico». Ne sono poi seguiti altri e finora sono una trentina le costruzioni che hanno ritrovato le loro sembianze: 6 a Sceru e circa 25 a Giumello (sempre in Val Malvaglia), con l’aiuto «volontario di amici, parenti, studenti (principalmente dell’Accademia), colleghi. Ultimamente ne abbiamo ricomposta una anche nella campagna di Semione». Una particolare opera di trasformazione «di cui c’è chi non vede scopo, chi invece ne capisce l’intento ed è entusiasta. Il nostro non è solamente un gesto di ‘pietas’ verso una civiltà che ci ha preceduti; ma anche un atto di tutela del paesaggio e ripristino dello spazio pubblico. Un edificio ha infatti sempre una dimensione pubblica e una privata: la prima è data da facciata, volume che determina lo spazio di cui usufruiscono tutti, presenza verso la strada; la seconda da funzio-
ne, spazi interni, uso. Quando una cascina crolla, vengono meno entrambe: quella privata poiché la sua funzione non esiste più; quella pubblica in quanto le pietre invadono gli spazi, creando qualcosa di amorfo. Facendo questa operazione di ripristino, la dimensione privata e personale del contadino è definitivamente
cancellata (le pietre spostate all’interno riempiono lo spazio un tempo utilizzato per animali e persone); mentre si recupera l’originale parte pubblica. L’iniziativa è candidata al premio conferito dalla giuria del pubblico al concorso di architettura “Arc Award 2016”; per il
quale tutti possono votare. Per sostenere il progetto si può accedere tramite i link www.arc-award.ch/de/rekompositionen-sceru-und-giumello o www.pedrozzi.com/vota. In caso di vittoria la somma in palio (diecimila franchi) sarà utilizzata per realizzare nuovi interventi e finanziare una pubblicazione.