Corriere della Sera

A tu per tu con il mio piano

- di Mika

Il pianoforte, a casa mia, c’è sempre stato. Dapprima marrone, un piano verticale noleggiato in un negozio del 13° arrondisse­ment. Avevo cinque anni e vivevamo a Parigi. Su insistenza di mia madre, le mie sorelle e io abbiamo tutti preso lezioni di pianoforte. Fu allora che due signore entrarono nella nostra vita, due sorelle sulla sessantina, approdate in Francia dall’Est Europa a pochi anni l’una dell’altra. Una portava i capelli in una crocchia tirata e lucida; l’altra li lasciava sciolti, lunghi e selvaggi. Bevevano il caffè e ogni loro gesto sembrava sincronizz­ato, in una specie di contrappun­to orchestrat­o di cenni, sguardi e accenti. Una cominciava una frase esattament­e una battuta prima che l’altra avesse finito di parlare: parole e segni esistevano soltanto all’unisono. Se avessero voluto fare altrimenti, sarebbero parse incoerenti e forse un po’ folli: era l’insieme a tenerle in equilibrio.

Una sincronia, la loro, che veniva esaltata da un insolito metodo di insegnamen­to. La sorella dello chignon si sedeva alla mia destra e si occupava esclusivam­ente della mia mano destra, mentre quella dalla chioma selvaggia si sedeva a sinistra e pensava a quel lato. Ognuna si rivolgeva alla mano di cui si era incaricata, e talvolta la mano parlava per loro, la sinistra alla destra, arrivando a chiederle di fare questo o quello.

Pare surreale, lo ammetto, ma era l’unica versione di una lezione di pianoforte che avessi conosciuto, e non ci trovavo niente da ridere. Anzi, era magica. Le sorelle erano le marionetti­ste in uno spettacolo con quattro protagonis­ti: la mia mano sinistra, la destra, il pianoforte, io.

Quando lasciammo Parigi, in gran fretta, avevo sette anni. Problemi finanziari non avevano lasciato ai miei genitori altra scelta se non abbandonar­e il Paese e cercare fortuna altrove. Quasi tutte le nostre suppellett­ili vennero vendute, ma due mesi prima della partenza il negozio del pianoforte era fallito, aveva abbassato le saracinesc­he ed era stato messo all’asta. Fu così che lo strumento restò in nostro possesso, una delle poche cose che ci accompagna­rono nel trasferime­nto a Londra, assieme a pentole e stoviglie, tavoli e sedie. Alle nostre spalle Parigi e le due maestre.

Quando finalmente il pianoforte arrivò a Londra aveva un’aria stranita, come un amico in visita da un altro mondo. Fu sistemato in un locale interrato, davanti alla finestra, e lo dipingemmo di bianco, come tutti gli arredi pochi -che ci avevano seguito da Parigi. Per «cominciare una nuova vita», diceva mia madre.

E davvero ricominciò lì, la mia nuova vita, seduto al pianoforte ora bianco, nell’interrato dove mi rintanavo a suonare, lontano dal resto della famiglia. Lo spettacolo musicale delle marionette, che aveva deliziato le mie lezioni francesi, svanì all’istante e senza le due maestre io cominciai a fare la conoscenza diretta dello strumento che mi stava davanti. Non era più un’opera per quattro attori, ma sempliceme­nte una conversazi­one a due, il piano ed io, e come in tutte le conversazi­oni normali, il piano suonava e io rispondevo, cantando.

I nostri dialoghi suonati e cantati riprendeva­no ogni giorno, per ore e ore, e proseguiro­no nelle settimane, mesi e anni successivi. Era, quello, l’unico luogo dove potevo aprirmi in completa sincerità, per dar sfogo alle mie paure, piangere in privato, ma senza sentirmi solo. Dove potevo esprimere i miei desideri, quasi come accarezzar­e una lanterna magica e veder apparire il genio. Dove potevo parlare di soldi, di sesso, di amori immaginari. A tu per tu con il mio pianoforte si è sempre dipanata una conversazi­one intensa. Col tempo, gli argomenti si sono fatti più complessi e le risposte del pianoforte più articolate, ma voce e piano hanno conservato il loro equilibrio, uno al servizio dell’altra, abbracciat­i nella melodia.

Restavo accanto alla finestra dell’interrato: se guardavo fuori, in su, vedevo le gambe e i piedi della gente che camminava lungo il marciapied­e. Gli altri erano là, fuori, il pianoforte ed io ero eravamo nel nostro mondo. Quella sensazione di calore che ti pervade quando riesci, dal nulla, a costruirti il tuo mondo, non la abbandoni più una volta che l’hai sperimenta­ta. Non è un’emozione normale, io la chiamo super emozione, capace di trasformar­ti in eroe o mostro, in una fragile foglia tremante o un dio raggiante seduzione. Non avrei mai rinunciato al mio pianoforte, sapevo che questi scambi musicali avrebbero salvato la mia vita.

Il pianoforte ha qualcosa di straordina­riamente versatile, una qualità ineguaglia­ta da altri strumenti. Quando premi un tasto, ne emerge una nota perfetta. Premi con più forza, o delicatame­nte, con un tocco breve o tenuto, e la nota sarà sempre precisa e intonata. È lo strumento per tutti, dal pub londinese ai jazz club fumosi, fino alle filarmonic­he più prestigios­e. Attorno al pianoforte si costruisco­no universi o si raccolgono gli affetti famigliari, ma non ce n’è uno che assomigli a un altro, per voce o personalit­à.

Il mio vecchio pianoforte è ancora a casa, a Wetherby Place. La vernice bianca si è scheggiata, ha messo a nudo il vecchio marrone. È ancora lì, stesso posto, accanto alla finestra, in attesa del prossimo incontro. Con lui ho scritto

più della metà delle mie canzoni, eppure le sue possibilit­à sono illimitate, come infiniti sono gli argomenti. So che può sembrare assurdo, ma sento che era destino incontrarc­i a Parigi, e poi che io fossi lì, con lui, accanto alla finestra di Londra, lo sguardo rivolto al mondo fuori, con la gente che va su e giù.

Ci sono dialoghi che lasciano la stanza e finiscono negli airpods e nei telefoni di quelle stesse persone che passano davanti alla mia finestra, mentre altre conversazi­oni restano strettamen­te private. Canzoni e parole, belle, struggenti, che rimarranno per sempre racchiuse tra quelle mura e non saranno mai ascoltate da nessuno. Ecco il segreto che alimenta le nostre conversazi­oni quando sono a tu per tu con il mio pianoforte: ci sono cose che resteranno custodite nel mistero.

” Uno strumento speciale A tu per tu con lui da ragazzino potevo parlare di soldi, di sesso e di amori immaginari

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 ?? ?? Il concerto Questa sera alle 21, in occasione della dodicesima edizione di Piano City Milano, Mika si esibirà al Castello Sforzesco
Il concerto Questa sera alle 21, in occasione della dodicesima edizione di Piano City Milano, Mika si esibirà al Castello Sforzesco

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